Articolo sul Corriere della Sera con Francesco Ferrante
Lo scontro tra Salvini e Di Maio sui rifiuti – termovalorizzatori sì o no – prende di petto un tema serissimo che tocca da vicino la vita e il benessere di noi italiani. Peccato che lo affronti, da entrambe le parti, con dosi largamente tossiche di disinformazione e strumentalità. Sostiene Salvini che i termovalorizzatori sono la soluzione al problema rifiuti, che ne servirebbe uno per provincia. Parole in libertà. Oggi in Italia sono in funzione 41 termovalorizzatori e il 20% di tutti i rifiuti urbani prodotti viene bruciato. In base alle leggi europee e soprattutto secondo buonsenso, questa percentuale diminuirà: perché il modo più sicuro di smaltire i rifiuti è recuperarli come materia. I termovalorizzatori da una parte, le discariche – controllate e al servizio dell’economia circolare – dall’altra, rimarranno, ma per trattare la parte residua non riciclabile dei rifiuti. Questa è anche la ragione per cui molti termovalorizzatori in Europa sono in perdita: a cominciare da quello celebratissimo di Copenaghen con la pista da sci sul tetto, che non trova in Danimarca abbastanza rifiuti da bruciare e per evitare il fallimento deve importarli dall’estero. Il nostro Paese ha fatto molta strada nella giusta direzione: recuperiamo come materia quasi il 50% dei rifiuti urbani prodotti, più della media europea e più di Paesi economicamente e tecnologicamente all’avanguardia come Francia o Danimarca. In particolare nel nord vi sono aree di assoluta eccellenza nella gestione della “monnezza”: come il trevigiano, dove a partire dalla scelta di rinunciare a un impianto di incenerimento (fatta quindici anni dall’amministrazione provinciale guidata da Luca Zaia) si è costruito un modello che punta tutto sul riciclo, ha portato la raccolta differenziata all’85%, grazie ai ricavi della vendita della materia riciclata ha ridotto le tariffe a carico dei cittadini.
Dunque nessun problema? Tutt’altro, restano due problemi molto grandi. Il primo è nel ritardo abissale del Mezzogiorno, dove ancora oggi buona parte dei rifiuti urbani finisce nelle discariche. Il secondo, collegato, è nella carenza di impianti per recuperare materia dai rifiuti, anche questo un “male” che colpisce prevalentemente il sud. Altro che nuovi inceneritori: mancano impianti per produrre compost e biometano dalla frazione organica dei rifiuti, mancano impianti per trattare le frazioni secche.
Per avvicinare il traguardo dei “rifiuti zero” – slogan amato dai Cinquestelle – occorre realizzare “mille impianti”. E qui cade Di Maio. I grillini dove sono all’opposizione e spesso anche dove governano si battono forsennatamente contro qualunque progetto di nuovo impianto, che sia per produrre compost o biometano. E’ un Nimby – “not-in-my-back-yard” – che vede all’opera “comitati” più o meno spontanei e trova sponda, va detto, non solo nei Cinquestelle ma localmente in partiti e politici delle più varie tendenze; ed è un Nimby che impedisce di creare le condizioni per una gestione dei rifiuti sana e ambientalmente sicura. Se Luigi Di Maio vuole dare credibilità al suo no a nuovi inceneritori non ha che una scelta: far dire ai suoi qualche centinaio di sì a tanti nuovi impianti per ricavare materia dai rifiuti.