Articolo di Roberto Della Seta e Francesco Ferrante su Huffington Post –
Il direttore del “Foglio” Claudio Cerasa non ha dubbi: uno dei grandi problemi dell’Italia è quello che lui chiama “benecomunismo”, tra le cui espressioni più perniciose vi è la convinzione che il nostro Paese paghi un prezzo altissimo – in termini di vite umane, di danni sociali ed economici – per avere curato poco e male il proprio territorio. Cerasa lo sapeva e lo scrive da tempo, ne ha avuto l’ennesima conferma dopo il terremoto del 24 agosto: quando gli ambientalisti e con loro molti commentatori, tra i quali Salvatore Settis che lo stesso Cerasa qualifica con disprezzo come “tessera numero 1 del partito del bene comune”, hanno detto che se da noi un sisma di questa intensità provoca così gravi conseguenze, la colpa è di case private e di edifici pubblici costruiti senza nessun rispetto per gli indispensabili criteri antisismici.
Del resto, così ancora Cerasa, la radice di questo male è ancora più profonda: è nell’idea che la natura sia buona e benefica mentre la modernità, il progresso siano il male assoluto. Contro questo assunto falso e bugiardo – ma dai! – Cerasa cita due “maîtres à penser” di statura non proprio fungibile: Giacomo Leopardi con il tema ricorrente nelle sue poesie della “natura matrigna” (che Dio lo perdoni), Chicco Testa con il suo libro recente “Contro (la) natura”.
Ora, il bersaglio polemico di Cerasa è del tutto immaginario: né Settis né gli ambientalisti hanno mai detto o scritto che se i terremoti fanno danni è colpa del progresso. Semplicemente propongono da qualche decennio una nozione di progresso, e di interesse generale, un po’ aggiornata. Da cui discende – comprendiamo e rispettiamo lo sconcerto di Cerasa – il seguente sillogismo: se l’Italia è il paese più sismico d’Europa questo dipende dalla “natura matrigna”, se è il paese europeo dove si è fatto di meno per mettere in sicurezza le case, le scuole, gli ospedali rispetto al rischio-terremoti qui la causa è in un deficit di progresso.
Il direttore del “Foglio” ignora, con piena evidenza, la storia e le coordinate culturali del pensiero ecologico. Non sa che l’ecologia è prima di tutto una scienza, nata da quella stessa idea – l’interdipendenza tra fattori biotici e abiotici, cioè tra vita biologica e natura inanimata, come base dell’evoluzione di ogni specie animale, uomo compreso – che fu uno dei temi fondativi della rivoluzione darwiniana. Nemmeno sa, il Cerasa, che scienza e ambientalismo sono stati assai più spesso alleati che avversari: alleati nell’indagare, la prima, e nel denunciare, il secondo, problemi ormai conclamati ma a lungo negati o trascurati da media e politica come le piogge acide, il buco dell’ozono, i cambiamenti climatici alimentati dalle emissioni antropiche di anidride carbonica e di altri gas-serra, gli effetti fortemente tossici di molti pesticidi.
La verità è che Cerasa ha una concezione del progresso enormemente più vecchia della sua giovane anagrafe: verità tanto più desolante poiché questo suo punto di vista è lo stesso di una parte non piccola delle nostre élite cosiddette “progressiste”, che in analisi “alla Cerasa” trovano peraltro un ottimo alibi per le loro distrazioni//inanità/complicità rispetto al malgoverno del territorio che è un male tipico e cronico dell’Italia. Per Cerasa qualunque infrastruttura, qualunque macchina, qualunque manufatto, è progresso, “a prescindere”: un’autostrada o una ferrovia, una centrale termoelettrica o una solare, una casa antisismica o una no… Servono, come scrive, “per controllare la natura”, la natura matrigna, e come tali sono sempre progresso. La pensavano così, per ideologia, i comunisti di una volta: il futuro come “soviet più elettrificazione”.
Oggi che i comunisti non ci sono più, c’è Cerasa a tenere vivo il concetto: senza più invocare i soviet ma solo l’elettrificazione, senza spiegare (né, temiamo, capire) perché un terremoto che in Giappone, in California, in Cile non provocherebbe alcun danno, invece in Italia semina morte e distruzione.