Culture

Matteo, passa da noi sabato se vuoi diventare come Obama

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Articolo su Huffington Post scritto con Francesco Ferrante

– Caro Matteo, non siamo tra quelli che si indignano per il tuo linguaggio politico inedito e un po’ anarchico, per le tue mani in tasca mentre parli in Senato, per le tue battute “ad personam“. In Italia per come è messa la politica, per come ha sceso fino agli ultimi gradini della reputazione pubblica, chi vuole cambiare davvero non può non cominciare mostrandosi diverso, alieno anche nei dettagli, nell’imballaggio.

Invece ci preoccupa che presentando il tuo governo, davanti al Parlamento come davanti alle centinaia di migliaia di tuoi follower su Twitter, tu finora ti sia dimenticato di una questione che è centrale nel discorso pubblico di tutti i grandi innovatori a cominciare dal prototipo Barack Obama: la crisi ecologica come paradigma dei nostri problemi, italiani e globali; e l’ecologia come paradigma di soluzioni che guardino al futuro anziché alle vecchie ricette del Novecento. Questo silenzio ci inquieta persino di più del fatto che tu abbia nominato ministro dell’ambiente una persona rispettabilissima ma messa lì per caso, per assegnare l’ultimo strapuntino rimasto libero. Vuoi somigliare a Obama? Passa all’assemblea di sabato 1° marzo (al Teatro Quirinetta di Roma) dove nasce “Green Italia”: troverai buoni spunti!

La crisi ecologica – che significa nel mondo la minaccia dei cambiamenti climatici e in Italia emergenze altrettanto drammatiche dall’Ilva di Taranto alla “terra dei fuochi” – è uno dei segni che rendono inedita e davvero “epocale” la stessa crisi economica di questi anni. Le due crisi vanno affrontate insieme: si esce dalla seconda solo aggredendo anche la prima, solo mettendo al centro dell’idea di futuro quel nuovo orizzonte politico che prende il nome di “green new deal”. Read More…

La lezione della Costa Concordia: via i grattacieli del mare dalla laguna di Venezia

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Post di Roberto Della Seta e Francesco Ferrante su Huffington Post

– Una tragedia, una bella figura, un problema generale. Sono i tre volti del caso-Concordia, tutti e tre ben visibili e tutti e tre da tenere a mente.

Il secondo aspetto è quello oggi più attuale: fra una manciata di ore comincerà davanti all’isola del Giglio, sotto il controllo della Protezione Civile, il “parbuckling” del relitto della Concordia. Si cercherà cioè di riportare in posizione verticale le oltre 100 mila tonnellate della Costa Concordia, passaggio preliminare e decisivo per il trasferimento della nave verso il porto di “smaltimento”.

Si tratta, come ha detto il capo della Protezione Civile Franco Gabrielli, di un’operazione di enorme complessità tecnica e mai tentata prima. Non c’è dunque che da incrociare le dita, osservando come ancora una volta si dimostri che la Protezione Civile italiana, quando si occupa non di G8 o di mondiali di ciclismo ma dei suoi compiti istituzionali, è un fiore all’occhiello del nostro Paese.

L’attesa per il “parbuckling”, i complimenti a Gabrielli, naturalmente non possono e non devono cancellare il ricordo di quanto accadde il 12 gennaio 2012: 30 persone morirono in un incredibile naufragio avvenuto col mare quasi piatto e a poche decine di metri dalla costa del Giglio. Morirono per il comportamento vigliacco e irresponsabile di un capitano senza onore, ma quella tragedia nasce anche da più lontano: da regole e consuetudini più o meno scritte della navigazione commerciale che troppo spesso privilegiano l’interesse privato di armatori e grandi flotte rispetto alla sicurezza di chi naviga e dell’ambiente.

Questo vale, per esempio, per le centinaia di petroliere e di cargo vecchi di decenni e privi di adeguati sistemi di sicurezza che in assenza di controlli efficaci continuano a solcare il Mediterraneo malgrado siano, per le normative europee, fuorilegge. E questo vale per le grandi navi da crociera che nella laguna di Venezia arrivano a sfiorare la cupola di San Marco.

Ecco il terzo volto del caso Concordia, che stabilisce un legame assai concreto tra quanto succede da quasi due anni davanti al Giglio e quanto accade più o meno tutti i giorni a Venezia. Nemmeno a questo è servita la catastrofe della Costa Concordia: a far decidere, come vuole il buonsenso e come chiedono in tanti, che una delle città più preziose e più delicate del mondo sia tenuta al riparo dall’assalto quotidiano – inquinante e pericoloso – di immensi “grattacieli del mare”, alti più del doppio del Palazzo Ducale.

Questa scelta è impedita dalla resistenza di una lobby influente – guidata dal presidente dell’Autorità portuale Paolo Costa – che evidentemente antepone le pretese delle compagnie crocieristiche alla difesa dell’interesse generale di Venezia e dei veneziani: resistenza, così pare, persino più dura da sconfiggere di quella opposta dalle 114 mila tonnellate semisommerse della Concordia.

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