L’edizione romana del Corriere della Sera ospita un mio intervento ( qui l’articolo in pagina corsera_roma ) scritto con Francesco Ferrante sullo spinoso argomento dei rifiuti a Roma e su come la nuova amministrazione di centrosinistra stia affrontando l’emergenza.
Occhio non vede cuore non duole. Si può battezzare così la via scelta dal l’amministrazione capitolina per fronteggiare il problema rifiuti. Insomma: anziché “rifiuti zero”, come nello slogan di chi ritiene possibile recuperare, riusare, riciclare tutta la spazzatura che produciamo in città, “rifiuti altrove”.
Il primo a indicare questa strada è stato due anni fa il sindaco di Napoli De Magistris, che dopo aver promesso una vera rivoluzione nella gestione dei rifiuti – raccolta differenziata in sei mesi al 70%, nemmeno un chilo di spazzatura negli inceneritori -, ora con la raccolta differenziata ferma al palo spedisce la “monnezza” napoletana a bruciare a Rotterdam. L’esempio partenopeo, così pare, sta facendo scuola anche nella capitale. Chiusa Malagrotta, i rifiuti romani non differenziati (oltre 3 mila tonnellate al giorno) vengono spediti a centinaia di chilometri da dove sono stati prodotti: in Piemonte, in Emilia, in Lombardia, prossimamente anche all’estero.
Questo modo di procedere fa parte più del problema che della soluzione. Esso è il risultato di almeno vent’anni di fallimenti amministrativi, anni nei quali la prima e la terza città d’Italia sono rimaste sistematicamente prive – qualunque maggioranza e sindaco le governasse – di un sistema efficace, moderno, sicuro di gestione del ciclo dei rifiuti. Ma, va detto, non è così dappertutto. Non è stato così in moltissimi comuni medi e piccoli, dove la parola d’ordine “rifiuti zero” sta diventando quasi realtà. Non è stato così nemmeno in grandi città come Milano, Torino, Padova, Verona, Bologna, Salerno: città guidate da sindaci e amministrazioni dei più diversi colori, che in questi anni hanno visto crescere e consolidarsi modelli economicamente efficienti e ambientalmente sostenibili di smaltimento dei rifiuti urbani.
No, la desolante arretratezza di Roma e di Napoli nella gestione dei rifiuti non appartiene a un “destino” italiano. E’ invece il frutto di scelte sbagliate e soprattutto di non-scelte, è l’eredità di classi dirigenti locali che in questo campo più ancora che in tanti altri hanno dimostrato una profondissima inadeguatezza. Le nuove amministrazioni di Roma e di Napoli potevano segnare un’inversione di rotta, ma per questo servivano, servirebbero, due impegni preliminari: verità e responsabilità sia nel presentare ai cittadini le cause che trasformano in dramma ambientale e sociale un tema che in mezza Italia e in buona parte d’Europa è ordinaria amministrazione, sia nel costruire i rimedi all’attuale condizione di emergenza.
Ecco, verità e responsabilità dicono che Roma i suoi rifiuti deve smaltirli a casa propria: non solo raddoppiando la raccolta differenziata attraverso la diffusione del “porta-a-porta”, ma migliorando la capacità e la qualità degli impianti di trattamento, realizzandone di nuovi a cominciare da quelli per il compostaggio dei rifiuti organici, trovando almeno un sito – una discarica, per parlare italiano – dove collocare in sicurezza la frazione residua (che ad oggi non è azzerabile). La soluzione dei “rifiuti altrove”, resa possibile da un aggiramento formalmente lecito ma controverso delle norme che vietano l’esportazione dei rifiuti urbani fuori regione, può essere una necessità inevitabile per qualche settimana, per qualche mese. Ma bisogna sapere, e dichiarare, che un sistema così è tutto tranne che virtuoso: altrimenti la scelta acquista un sapore insopportabile di demagogia e d’inganno.
Roberto Della Seta
Francesco Ferrante
(Green Italia)