“Chissenefrega dei sindacati, io parlo direttamente ai lavoratori”, “Chissenefrega di Confindustria, io parlo direttamente alle imprese”. La novità radicale del discorso pubblico di Matteo Renzi è bene raffigurata in questo che è stato un leit-motif della strategia mediatica del capo del governo per “preparare” l’annuncio del suo piano contro la crisi. Un ritornello sicuramente di successo, che sul piano del consenso per il Renzi-pensiero sembra funzionare alla grande.
Che cosa c’è di originale, di “rivoluzionario” in questi giudizi? Per molti c’è soprattutto il segno di uno stile comunicativo semplice, diretto, “impressionistico”: qui starebbe la forza vincente di Renzi, nella sua straordinaria capacità di “arrivare” all’opinione pubblica come uno che parla la stessa lingua degli italiani qualunque e del quale per questo gli italiani qualunque possono fidarsi.
Invece secondo noi c’è di più. Ridurre a puro imballaggio, a una furbizia tattica le battute sprezzanti dedicate da Renzi a sindacati e Confindustria è al tempo stesso fargli torto e concedergli troppo: fargli torto perché così si finisce per rappresentarlo come una specie di piazzista del tutto disinteressato alla qualità della “merce” che vende, concedergli troppo perché non si vede – o non si dice – che con questo genere di esternazioni Matteo Renzi esprime con verità e con coerenza un’idea del proprio ruolo e del rapporto tra politica e società non priva di qualche insidia.
Renzi insomma va preso sul serio. Quando liquida il sindacato dei lavoratori e quello dei datori di lavoro come intermediari fastidiosi nel rapporto diretto tra lui e il “popolo”, dice ciò che pensa. Questo attacco, bisogna dire, trova appigli formidabili nella realtà: in decenni di abuso della concertazione, spesso interpretata dalle parti sociali come teorizzazione di un proprio diritto di veto alle decisioni della politica; e poi nella progressiva trasformazione delle principali organizzazioni di rappresentanza economico-sociale in strutture burocratiche tendenzialmente autoreferenziali, non meno “caste” della casta dei politici. Renzi in questo senso non fa che certificare un dato evidente da tempo ma a lungo oscurato: il legame spezzato tra rappresentanti e rappresentati non vale solo per i partiti, riguarda con uguale profondità le organizzazioni sindacali e imprenditoriali sempre più lontane dai problemi e dagli interessi di lavoratori e imprese.
Come si sa però mescolare l’acqua sporca con il bambino non porta lontano: un conto è denunciare le degenerazioni delle rappresentanze sindacali e industriali, un altro è negare dignità e legittimità ai corpi intermedi, cioè alle molteplici articolazioni attraverso le quali gli interessi, i bisogni, i valori presenti nella società si manifestano sulla scena pubblica.
Una democrazia non può vivere di sola delega elettorale: ha bisogno di sussidiarietà, ha bisogno che la politica ceda alla società organizzata compiti pubblici; per questo sono indispensabili i corpi intermedi. Accade così in tutte le democrazie avanzate, dove i corpi intermedi non solo svolgono rilevanti funzioni pubbliche – dalla sanità all’assistenza sociale, dall’ambiente ai beni culturali – ma in piena autonomia danno sostegno ai leader, ai partiti, agli schieramenti che ne sposano gli obiettivi. In Italia, dove i corpi intermedi hanno una storia gloriosa lunga parecchi secoli, da decenni gli unici corpi intermedi riconosciuti e legittimati sono stati quelli para-istituzionali direttamente collegati all’establishment: sindacati, rappresentanze imprenditoriali, grandi associazioni cattoliche. Renzi, questa per ora l’impressione, anziché spendersi per allargare l’ascolto e il dialogo anche ai soggetti più autonomi e informali – associazionismo, volontariato, le stesse lobby economiche se dichiarate e trasparenti – sembra tentato dall’idea di rappresentare ogni corpo intermedio come corporazione egoista, con lui e soltanto lui quale interprete autentico dell’interesse generale.
Ma l’interesse generale è la risultante possibile e utile degli innumerevoli interessi parziali che animano la società, altrimenti rischia di diventare il pretesto di un leaderismo fine a se stesso, il cui solo obiettivo strategico sarebbe auto-perpetuarsi. E d’altra parte in assenza di un rapporto ricco ed esplicito tra politica e corpi intermedi, gli interessi sociali trovano altre strade, assai meno commendevoli, per influenzare le decisioni pubbliche: le strade opache (e ahinoi tipicamente italiane) del clientelismo, del familismo, dei comitati d’affari incistati nella politica. Così, se Renzi scegliesse di governare l’Italia infischiandosene dei corpi intermedi, la sua sarebbe quasi un’eterogenesi dei fini: presentatosi e affermatosi come il leader più vicino alle ragioni dell’antipolitica, diventerebbe il più estremo ed efficace restauratore del primato della politica-politica su ogni altra dimensione della società organizzata.
Roberto Della Seta
Francesco Ferrante