Diavolo d’un Matteo Renzi. Fuoriclasse nel dare per fatte riforme e leggi che sono nello stato embrionale di qualche slide o tutt’al più hanno la forma provvisoria di bozze non ancora vidimate né dalla Ragioneria né dal Quirinale, quando si trova davanti l’occasione concreta di portare a casa un vero risultato la scansa e sceglie il basso, bassissimo profilo. È quello che sta capitando con la trattativa europea sui target al 2030 per la riduzione delle emissioni di gas di serra, l’aumento del ricorso alle fonti rinnovabili di energia e l’incremento dell’efficienza energetica: negoziato che dura da mesi e che si concluderà nel vertice Ue che Renzi presiederà giovedì e venerdì a Bruxelles.
Ecco, in questo caso Renzi somiglia a un calciatore che corre con la palla attaccata ai piedi solo verso la porta avversaria ma all’ultimo si ferma, tergiversa, si dribbla da sé e butta via un gol già fatto. A New York un mese fa di fronte al vertice Onu convocato da Ban Ki-moon sui cambiamenti climatici, Renzi affermò: “È fondamentale raggiungere a Parigi nel 2015 un accordo globale e vincolante in difesa del clima. I nostri figli si attendono che questo accordo sia vincolante”. Peccato, aggiungiamo noi, che l’Italia, Presidente di turno dell’Unione Europea, non si è ancora espressa in favore di tre obiettivi quantificati e vincolanti – meno gas serra, più rinnovabili e più efficienza – e non ha svolto alcun ruolo politico nelle trattative in queste settimane.
Sempre parlando alle Nazioni Unite il nostro premier proclamava: “L’impegno dell’Italia continua sui numeri: ad agosto 2014, il 45% delle elettricità in Italia proveniva da fonti rinnovabili”. Di nuovo peccato, peccato che questo 45% lo abbiamo raggiunto anche e molto grazie a quegli impianti ad energia solare fotovoltaica che il Governo ha messo nel mirino con il famigerato decreto ‘spalmaincentivi’, prelievo forzoso e retroattivo che ha messo in serissima difficoltà il settore e ha lasciato di sasso gli investitori esteri abituati forse si alla burocrazia e agli scioperi made in Italy, ma basiti di fronte ad uno Stato che fa carta straccia di migliaia di contratti. Insomma una scelta da Robin Hood alla rovescia, di cui in particolare la ministra Guidi spesso si fa vanto propalando dati del tutto infondati sulle bollette energetiche che per colpa delle rinnovabili sarebbero in Italia più care del 40/50% che in Europa.
Temevamo che della riunione sul pacchetto-clima in programma a Bruxelles questa settimana il governo italiano si fosse quasi dimenticato, ma in extremis è arrivato un bel discorso di Renzi al Senato. Anche questa un’occasione persa: qualche parola distratta e veloce su quanto è importante il pacchetto europeo clima-energia, un accenno genericissimo a ‘grandi’ investimenti per favorire i ‘green jobs’, cioè i posti di lavoro legati alla crescita verde. Ma quale crescita verde se l’Italia nemmeno si schiera apertamente e con forza a favore di un target del +30% entro il 2030 dell’efficienza energetica, obiettivo che potrebbe innescare un circuito straordinariamente virtuoso di benefici occupazionali e ambientali? Silenzio tanto più incomprensibile visto che questo settore è un’ eccellenza italiana che porta con sé un bagaglio di tecnologie e di know-how che, con un obiettivo alto, l’Italia potrebbe esportare in Paesi poco efficienti.
Insomma Renzi, grazie al ‘mitico’ semestre di presidenza italiana poteva essere protagonista nel tracciare la strada di quella che verosimilmente sarà la “politica industriale europea” più rilevante dei prossimi anni (altro che i fantomatici 300 miliardi di Juncker), invece ha scelto di non giocarla affatto questa partita. Premier fossile di un governo fossile, Renzi da mesi preferisce lisciare il pelo alle solite, vecchie lobby del petrolio e del carbone.
In questo vi è perfetta continuità tra il decreto ‘Sblocca-Italia‘ e la ‘Strategia Energetica Nazionale‘ messa nero su bianco dai predecessori di Renzi. In Italia e in tutta Europa il settore della raffinazione petrolifera è in crisi da tempo. La competizione internazionale, l’evoluzione tecnologica e il miglioramento dell’efficienza energetica hanno portato alla chiusura di un terzo degli impianti italiani. Ma questo passaggio d’epoca non si affronta lanciando, come fa Renzi, improbabili programmi di trivellazione per tirare su dalla terra e dal mare un po’ di petrolio e di gas, con danni ambientali rilevanti per il territorio, il paesaggio, il turismo. L’Italia ha tutto da guadagnare, anche economicamente, dal mettersi alla testa della rivoluzione energetica in atto: perché quasi non ha risorse energetiche fossili e invece ha moltissime risorse energetiche rinnovabili, a cominciare dal sole. Dobbiamo darci come obiettivo ravvicinato il passaggio a un sistema energetico ‘low carbon’, dobbiamo impegnarci per raggiungere entro il 2050 il 100% di energia da fonti rinnovabili: solo così la ‘crescita verde’ sarà più di una vuota formuletta, e diventerà l’arma principale contro il declino economico dell’Italia.
Del resto, la stessa Commissione di Bruxelles ha stimato che con un target del 40% in più di efficienza energetica si avrebbe un incremento del Pil europeo del 4,5%, rispetto all’ 1% ottenibile col target del 30%. Per una volta, Renzi avrebbe potuto battersi al fianco di Angela Merkel, sostenitrice di un maggiore impegno europeo su energia e clima, contro i frenatori – i ‘gufi’… – polacchi e inglesi. Mancanza di visione o di coraggio? Citiamo per l’ultima volta il premier: “La lotta al cambiamento climatico è un segno di responsabilità verso il futuro”. Verissimo, ma questa partita si gioca all’attacco o si perde miseramente, perché non ci sono tempi supplementari.
Roberto Della Seta
Francesco Ferrante