Nasce Green Italia contro i negazionisti dell’ambiente

Articolo su Huffington Post

Sembrava Il Male di trent’anni fa, mitico settimanale satirico inventato da Vauro e Vincino che riproduceva finte prime pagine di quotidiani, tipo la Repubblica con apertura a sei colonne: “Craxi è il figlio di Mussolini”.

Sembrava Il Male di trent’anni fa e invece era il Corriere della Sera del 5 giugno scorso. Per celebrare la Giornata mondiale dell’ambiente, rituale (e abbastanza inutile) ricorrenza istituita dall’Onu, le prime due pagine di uno dei più importanti giornali italiani ospitavano un lungo articolo tutto incentrato su un’unica tesi: le ricette per fermare l’inquinamento e la crisi ecologica, dall’energia solare all’auto elettrica, sono tutte “palle”, i cambiamenti climatici ci sono ma in fondo fanno bene.

A sostegno di questa decisiva rivelazione venivano citati due testimoni presentati come autorità indiscusse: Chicco Testa, attuale presidente di Assoelettrica che sul suo ruolo di “ambientalista pentito” (negli anni ‘80 fu presidente di Legambiente) ha costruito una ragguardevole carriera, e il politologo danese Bjørn Lomborg, che una decina d’anni fa divenne famoso come autore di un saggio, L’ambientalista scettico, nel quale negava, contro l’opinione già allora condivisa da gran parte della comunità scientifica, che il “climate change” dipendese dall’uomo e che fosse un problema serio.

In nessun altro paese di Europa e di Occidente sarebbe immaginabile leggere un articolo così su un grande, prestigioso giornale. Accade in Italia perché da noi i temi ambientali, nella loro dimensione culturale ma ormai anche economica, sono sempre rimasti ai margini del dibattito pubblico e in particolare del confronto politico.

In Italia non ci sono forze politiche ecologiste con un seguito elettorale apprezzabile, come in Germania o in Francia, mentre i partiti tradizionali continuano a considerare l’ambiente come un argomento di seconda o terza fila, buono tutt’al più per organizzarci qualche convegno o scriverci uno dei trenta o quaranta capitoli dei programmi elettorali.

Per questo insieme a molti altri – ecologisti con varie origini e storie, imprenditori della “green economy” – abbiamo promosso “Green Italia”, movimento politico che presenteremo a Roma il 28 giugno in un incontro pubblico all’auditorium del museo Maxxi.

La nostra ambizione è semplice ed è anche, lo sappiamo, temeraria: dare una mano a interrompere la “rimozione” della questione ecologica da parte della politica italiana.

L’ecologia non è soltanto l’emblema dei problemi ambientali che affliggono l’Italia: problemi che condividiamo con tutto il mondo, dall’inquinamento al clima che cambia, problemi squisitamente nostri dalle ecomafie ai rifiuti nelle strade di Napoli o Palermo.

L’ecologia evoca grandi, grandissimi problemi ma indica anche preziose soluzioni – serve come il pane a farci uscire prima e meglio dalla depressione economica e sociale, con la “green economy” di migliaia di imprese che grazie all’innovazione “green” resistono e spesso crescono malgrado la crisi.

Serve ad archiviare per sempre l’idea malsana che sia accettabile, come accettato a Taranto per decenni, mettere l’economia, l’industria, il lavoro contro la salute umana. Serve ad affermare che c’è uno spazio dei “beni comuni” – beni materiali come l’acqua o il suolo, immateriali come la legalità o la scuola – che va tenuto al riparo da logiche di parte e mercantili.

I mali italiani non possono essere curati affidandosi alle stesse idee che li hanno generati, e d’altra parte su di essi pesa un groviglio di conservatorismi alimentati sia da destra che da sinistra: la lontananza di tutte le forze politiche e sociali tradizionali dalla cultura ecologica è parte integrante, e non marginale, di questa formidabile resistenza al cambiamento.

Accorciare almeno un poco questa distanza è la scommessa di “Green Italia”. Obiettivi concreti? Ci limitiamo a citarne uno ravvicinato: sbugiardare i negazionisti dell’ambiente, e magari fare in modo che il “Corriere della Sera”, il 5 giugno dell’anno prossimo, informi i lettori che sì, in effetti la crisi ecologica non è proprio un’invenzione degli ambientalisti.

La politica e l’economia ripartono da “Green Italia”

Articolo su Europa

Un movimento politico green, per offrire una risposta diversa, radicalmente diversa dalle risposte che danno tutte le forze politiche, alla crisi sociale, economica, democratica che assedia l’’Italia. È questa l’’ambizione, per noi un azzardo necessario, di “Green Italia” che nascerà il 28 giugno prossimo, in un incontro pubblico presso l’auditorium del museo Maxxi a Roma.

A promuovere “Green Italia” sono, siamo persone con storie diverse e anche lontane: ecologisti che provengono dal Pd, figure di punta delle principali associazioni ambientaliste, la presidente dei Verdi europei Monica Frassoni; esponenti politici con un ‘“pedigree’ squisitamente di destra come Fabio Granata, imprenditori della green economy.

In Italia l’ecologia, l’’ambiente, l’’economia verde sono trattati da quasi tutta la politica come temi minori. Nessuno ne parla male, ma nel dibattito pubblico recitano la stessa parte dei pianisti nei film western: tra pallottole e cazzotti restavano sempre lì sullo sfondo imperterriti a suonare, mai colpiti e però mai protagonisti della scena. Le ragioni di ciò sono più d’’una, la principale è l’assenza dal nostro paesaggio politico e dal conseguente mercato elettorale di un’offerta credibile e solida – i Verdi italiani non lo sono stati mai – che si proponga di rappresentare i valori, i bisogni, gli interessi legati all’ambiente, e che come in ogni competizione costringa anche tutti gli altri a cimentarsi sul suo terreno.

Per capire che nasce da qui l’analfabetismo ambientale di buona parte delle classi dirigenti italiane e dei nostri politici in particolare, basta dare uno sguardo agli altri grandi paesi europei: è grazie alla forza competitiva dei Grünen (10,7% alle politiche del 2009, il 15% nei sondaggi sul prossimo voto di settembre) se in Germania anche gli altri partiti considerano i temi ambientali come priorità; e in Francia le politiche ambientali hanno cominciato a correre solo da quando destra e sinistra hanno dovuto fare i conti con ““Europe Ecologie”, la federazione ecologista fondata da Daniel Cohn-Bendit che alle elezioni europee del 2009 ottenne oltre il 16% dei voti.

Chi scrive ha pensato che il Pd potesse essere, accanto a molto altro, anche la via italiana alla rappresentanza dei temi ambientali in politica: quella speranza ci sembra finita, sommersa da una deriva che ha progressivamente trasformato il Partito democratico nella somma litigiosissima e poco assortita di vecchie, decisamente datate appartenenze e di piccoli e grandi apparati.

Eppure una domanda di politica green ci sarebbe anche in Italia. Oggi più forte che mai, nutrita com’è non soltanto di valori e modelli di consumo, ma anche di concreti interessi economici. Molti segnali lo confermano: dal successo vistoso dei referendum su acqua pubblica e nucleare di un anno e mezzo fa, al peso non marginale che l’anima ecologica ha giocato nell’ascesa elettorale dei grillini, fino alla crescita formidabile, malgrado la crisi, della green economy, migliaia di imprese (energia, chimica verde, riciclaggio dei rifiuti) ignorate dalla politica (e dalla stessa Confindustria) che hanno fatto dell’innovazione ecologica il loro business principale.

Questa nuova economia già largamente in campo ma priva tutt’ora di rappresentanza politica, nel caso dell’Italia ha un’anima antica. Se è “verde” l’economia che produce benessere e prosperità senza intaccare il capitale naturale, allora noi l’economia verde l’abbiamo inventata prima di tutti gli altri e la pratichiamo con successo da secoli.

Vi è insomma una green economy in salsa italiana che si fonda sulla bellezza, il paesaggio, i beniculturali, la creatività, la convivialità, il legame sociale e culturale tra economia e territorio: tutte materie prime immateriali e dunque ecologiche, tutti talenti dei quali abbondiamo (da cos’altro nasce la fortuna del Made in Italy?) e che oggi sono la nostra arma migliore, forse l’unica vera arma su cui possiamo contare, contro i rischi incombenti di declino.

In Europa, l’Italia è considerata per tanti aspetti un’anomalia: l’assoluta marginalità dell’ambiente nel dibattito pubblico e in particolare nel confronto politico è uno dei nostri gap più evidenti. La scommessa,semplice e temeraria, di “Green Italia” ”è riuscire ad accorciarlo almeno un poco.

Roberto Della Seta
Francesco Ferrante

Manca una vera politica verde. Via dal PD, nasce “Italia Green”

Daniela Preziosi per “Il Manifesto”

Si chiamerà Green Italia il nuovo soggetto ambientalista. Primo appuntamento, il 28 giugno all’Auditorium del Maxxi a Roma. Lo annuncia Roberto Della Seta, già presidente di Legambiente, fondatore e senatore del Pd, oggi fuori dal partito per una brutta storia: a chiedere la sua testa sono stati i Riva, si apprende dalle intercettazioni dell’inchiesta di Taranto.

Della Seta è anche autore con Edoardo Zanchini di “La sinistra e la città” (Donzelli), saggio bello, inclemente e anche autocritico. Lui premette: «Crediamo che in Italia ci sia uno spazio di valori, bisogni e interessi legati all’ambiente che oggi non hanno una rappresentanza politica. I valori sono quelli legati ai beni comuni, emersi coni referendum del 2011 (Della Seta fu fra i pochi del Pd a sostenerli dalla prima ora, ndr); I bisogni sono quelli emersi per esempio dalla vicenda di Taranto, per cui gli italiani oggi non accettano più scambi fra lavoro e salute. Gli interessi sono quelli del mondo della green economy».

Pd, Sel, verdi. A naso per un elettore ambientalista l’offerta politica c’è. Non crede?

No. Esclusa la destra, escluso, purtroppo, il Pd, né Sel né M5S, quando si arriva alla stretta, fanno dell’ambiente il tema che li qualifica. Quindi noi…

Noi chi? Chi siete?

Ecologisti ex Pd come Ferrante e Ronchi. La copresidente dei verdi europei Monica Frassoni, ex capolista di Sel. Persone che vengono dalle associazioni, come la direttrice di Legambiente Rossella Muroni, il vicepresidente Zanchini e l’ex presidente del WWF Stefano Leoni. Dicevo: noi abbiamo valutato che c’è una domanda di rappresentanza a cui non risponde né la politica tradizionale né i Verdi italiani, che non sono stati in grado di svolgere il ruolo che i verdi in Europa svolgono.

Fondate un nuovo partito?

L’obiettivo è presentare una lista alle prossime europee. Se per partito intende una struttura solida e circoscritta, no: per ora restiamo un’iniziativa liquida, aperta, speriamo che presto si arricchisca di nuovi contributi.

Un lista di sinistra o di destra?

Una lista che ha per riferimento i verdi europei, collocata dalla parte dei progressisti ma distinta dalle tradizioni della sinistra europea.

Lei è uscito dal Pd, dove sono rimasti ambientalisti a lei vicini, come Ermete Realacci. Sbagliano a restare in quel partito?

Il Pd ha ancora ambientalisti autorevoli, come Ermete, ma i temi ambientali non sono un carattere distintivo di quel partito. Se la nostra iniziativa avrà un po’ di successo sarà utile ad accelerare l’evoluzione degli altri partiti, a iniziare dal Pd. Del resto in Europa il partito socialista più sensibile alle questioni ambientali è l’Spd anche perché i Grunen tedeschi sono competitivi e prendono molti voti.

Che differenza ci sarà fra Green Italia, Pd e Sel su temi come l’Ilva di Taranto?

Sel, al di là della parola “‘ecologia” nel nome, non ha fatto dell’ecologia il suo tema distintivo. E infatti gli ecologisti di Sel vivono qualche disagio, visto che Sel ha chiesto di aderire al partito socialista europeo. Sull’Ilva credo innanzitutto che la sinistra debba chiedere scusa ai tarantini e agli italiani. Se è arrivata a questo punto la colpa è di chi ha governato quella città e l’Italia lasciando che la vicenda incancrenisse. Ho cominciato a lavorare a Legambiente negli anni ’80, già allora sfornavamo dossier sull’inquinamento dell’Ilva. I dati ci sono da decenni, ma anche la sinistra li ha ignorati e anzi ha intrattenuto rapporti incestuosi con la famiglia Riva. Oggi l’unica strada è toglierne il controllo dai Riva.

Guardi che la pensa come Vendola.

Che però non da sempre la pensa così.

Secondo i parametri Italia Green questo governo è a norma?

No, il governo finora dimostra di non capire che per far uscire l’Italia dalla crisi serve in larghissima misura l’economia verde.

Lascia il Pd alla vigilia di un congresso cruciale? Lei era schierato con Renzi, che oggi è il pole position per essere il prossimo premier, forse anche il prossimo leader Pd.

La possibilità che il Pd diventi un partito anche ecologista oggi è tramontata. Ma non sono disinteressato al Pd. Mi auguro che riesca a rinnovarsi, non solo ad avere un segretario più giovane. Ma ora ci vuole una nostra presenza autonoma. Lo dico per esperienza: le altre strade hanno tempi troppo lenti rispetto all’urgenza dei problemi ambientali.

La sinistra radicale è divisa in tanti riveli, e rischia l’inefficacia. Non rischia di finire così anche l’area ambientalista?

Il rischio c’è. La sinistra italiana è un cantiere aperto da 25 anni. Noi ci collochiamo altrove rispetto a questo cantiere. Pensiamo che sia arrivato il momento di affiancare il dibattito italiano a quello europeo. In Europa i temi ambientali sono al centro dei confronti anche elettorali grazie alle forze autonome che li rappresentano.Presto sarà così anche in Italia.

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