Articolo su Huffington Post, con Francesco Ferrante
La Basilica di San Marco esiste dall’828 dopo Cristo, cioè da quasi 1200 anni. Informa la Procuratoria di San Marco, l’ente che da secoli l’amministra, che durante questo tempo l’acqua alta l’ha invasa sei volte, dunque una volta ogni due secoli. Ma dei sei “allagamenti”, tre sono avvenuti negli ultimi vent’anni e due negli ultimi dodici mesi.
Cos’altro deve succedere perché si capisca, chi ha la responsabilità di amministrare ai diversi livelli il “bene comune” capisca, che l’emergenza climatica non è un astratto problema ambientale, ma la principale minaccia che pesa oggi sulla sicurezza, sul benessere, sull’identità culturale di noi italiani così come di ogni altro popolo del mondo?
Il clima che cambia non è certo una novità nella storia di miliardi di anni del nostro pianeta, che è piena zeppa di sconvolgimenti climatici al cui confronto l’attuale “climate change” impallidisce. È invece un inedito assoluto la causa dei cambiamenti che stanno modificando a ritmi sostenuti il clima globale: a provocarli non sono fattori naturali, è l’azione dell’uomo.
L’umanità è l’artefice dell’aumento delle temperature medie, dell’innalzamento del livello di mari e oceani, del moltiplicarsi (di numero, di intensità, di localizzazione) dei fenomeni meteorologici estremi come siccità, uragani, inondazioni. E l’umanità è al tempo stesso la prima vittima di questo processo.
A ciò si aggiunge un altro aspetto rilevante. I danni prodotti dai cambiamenti climatici sono “classisti”: colpiscono per primi e di più i poveri, sia i Paesi più poveri dove si ingrossa ogni anno la massa di “migranti climatici” costretti ad abbandonare la loro terra perché non da più né acqua né cibo, sia i poveri del mondo “ricco” esposti senza difese a ondate di calore e di maltempo sempre più frequenti come al progressivo inaridimento dei suoli.
È questo un dramma senza via d’uscita? Tutt’altro. L’uscita c’è, c’è ancora tempo per impedire che l’aumento della temperatura media globale del Pianeta – il vero indicatore del “climate change” – superi quel grado e mezzo centigrado (rispetto ai livelli preindustriali) considerato dalla quasi totalità degli scienziati del clima come il punto di non ritorno. Ma per vedere la luce in fondo al tunnel bisogna cancellare prima possibile la causa di gran lunga principale dei cambiamenti climatici: l’utilizzo di combustibili fossili per produrre energia, per muovere persone e merci, per fabbricare manufatti. Read More…