Pd comitato elettorale? Non è una parolaccia

RENZI_SILENZIO

Articolo su Huffington Post – 

Che c’è di male se il Pd di Renzi diventa un grande e potente comitato elettorale? Se la legittimazione dei suoi comportamenti, delle sue politiche, anche delle scelte su chi deve rappresentarlo nelle liste elettorali e nei governi non arriva da qualche centinaia di migliaia di iscritti, di ‘soci della ditta’, ma da milioni di persone che quando si vota dicono che sì, quei comportamenti e quelle politiche e quelle scelte li convincono? Secondo noi non c’è niente di male.

Anzi siccome in politica il realismo è una virtù, questo è un bene, è la presa d’atto che nel tempo presente, in Italia come in tutta Europa, la partecipazione civile sempre di meno sceglie per esprimersi i partiti, e sempre di più si affida a luoghi di condivisione meno ‘generalisti’ e più liquidi: associazioni, comitati e gruppi di azione ‘single issue‘, la cui ragione sociale s’identifica con temi specifici come difendere l’ambiente o battersi per la legalità, o con obiettivi ancora più circoscritti come promuovere e vincere un referendum o ottenere l’apertura di un parco o la chiusura di una discarica. Peraltro questa perdita di centralità sociale riguarda insieme ai partiti anche i sindacati: perché malgrado i drammi incombenti legati a disoccupazione e povertà, sempre di meno le persone basano il proprio ‘essere sociale’ prevalentemente sul lavoro.

Insomma, non è che i partiti, e i sindacati, perdano senso perché declina la cittadinanza attiva, perché le persone sentono meno il bisogno di ritrovarsi in comunità di valori e di obiettivi; accade piuttosto che in particolare i giovani si riconoscano in identità multiple e continuamente mutevoli: “La stessa persona – scrive Amartya Sen – può essere senza la minima contraddizione (…) cristiana, progressista, donna, vegetariana, maratoneta, storica, insegnante, romanziera, femminista, eterosessuale, sostenitrice dei diritti dei gay e delle lesbiche, amante del teatro, militante ambientalista, appassionata di tennis, musicista jazz”. Quasi ad ognuna di queste appartenenze può corrispondere la partecipazione a qualche forma di cittadinanza attiva, di impegno ‘politico’; ma ben difficilmente la loro ‘somma’ suggerisce di collegarsi in via permanente a un partito. Poi quando si vota, la nostra ‘donna-esempio’ deciderà, transitoriamente e senza affidamenti generali, quale partito assomiglia di più all’insieme delle sue identità multiple e dei bisogni, delle aspirazioni a esse collegate. Punto.

Oggi più che mai la qualità di una democrazia, il ‘tasso valoriale’ di una società, non si misurano dal numero di iscritti ai partiti ma da ben altro: per esempio da come funzionano i criteri di selezione delle classi dirigenti, dal grado di attenzione e consapevolezza dell’opinione pubblica, dalla trasparenza dei meccanismi di formazione dl consenso, dal peso della corruzione e delle infiltrazioni criminali nella politica. Tutte ferite da tempo aperte e dolenti sul corpo dell’Italia, rispetto alle quali non pare proprio che i partiti di vecchio modello, Pd compreso, abbiano svolto una funzione terapeutica… Read More…

Venezia “set” per matrimoni un po’ pacchiani: dov’è il problema?

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Articolo su Huffington Post –

“Venezia ridotta a set del matrimonio di Clooney lascia un retrogusto amaro”; come fanno tristezza Capri requisita per una festa russa e le masserie pugliesi usate come scenografia per le nozze miliardarie dei rampolli dell’acciaio indiano. Così Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera. Ma dov’è il problema?

Se l’amaro in bocca è per lo ‘show-off’ pacchiano e un po’ ridicolo dei nuovi ricchi o delle star di Hollywood, si può capire e condividere, salvando peraltro il povero (si fa per dire)Clooney che non ci pare abbia esagerato in ostentazione e sapendo inoltre che lo spettacolo non è nuovo. Di relativamente inedito, semmai, c’è che nel mondo unificato dalla globalizzazione e dal web i neo-plutocrati dell’ex-Terzo Mondo – arabi, indiani, russi, messicani, ormai persino qualche cinese… – scelgono spesso l’Europa per allestire la messa in scena del la loro smisurata prosperità. Ma il ‘kitsch’ di matrimoni e feste da favola esibiti pubblicamente come misura di successo e ricchezza non l’hanno inventato né gli indiani né i russi né gli arabi, è nato per l’appunto con lo star-system ed è nato in Europa (basta ricordare i matrimoni ‘televisivi’, non proprio sobri, tra Ranieri di Monaco e Grace Kelly o tra Carlo e Diana). Read More…

Cos’è sinistra in Italia oggi: articolo 18 o marcia per il clima?

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Articolo su Huffington Post

Mentre in Italia Matteo Renzi e la minoranza Pd si insultavano sull’articolo 18 con Renzi dipinto come la nuova Thatcher e Fassina, Bersani, Cuperlo liquidati come dinosauri in estinzione, a New York 300 mila persone manifestavano nella “marcia per il clima“, invocando dai governi misure radicali per fermare i cambiamenti climatici passando dall’energia del petrolio a quella del sole e dell’efficienza. Le due vicende sono in apparenza del tutto scollegate, ma in realtà rimandano entrambe a una stessa domanda: cosa significa essere di sinistra nell’Italia del 2014?

Certamente, su questo Renzi ha ragione da vendere, non significa trattare l’articolo 18 come un totem intoccabile. Anche per colpa di un sindacato decisamente strabico, il mondo del lavoro italiano è tra i più iniqui dell’Occidente: milioni di precari e di lavoratori cosiddetti atipici sono esclusi da qualunque tutela, non solo rispetto al licenziamento ma di fronte alla possibilità, che dovrebbe essere un diritto, di progettare il proprio futuro e di non rischiare, se perdono il lavoro, la povertà assoluta. Ciò non vuol dire naturalmente che gli “altri”, i “garantiti” – per esempio qualche milione di operai o di dipendenti pubblici che guadagnano poco più di 1000 euro al mese e godono della “copertura” dell’articolo 18 – siano dei “privilegiati”, come spudoratamente e incredibilmente ha dichiarato la vicesegretaria Pd Serracchiani. Ma certo, nell’Italia di oggi rinnovare alla radice le regole che governano il mercato del lavoro secondo il principio di tutele crescenti e universali è un obiettivo squisitamente di sinistra, e chi lo contrasta merita fino infondo la qualifica di conservatore. Per essere ancora più chiari: se la riforma preannunciata da Renzi sostituisse a strumenti selettivi come la cassa integrazione straordinaria o in deroga l’accesso per tutti i lavoratori nei periodi di non-lavoro a un vero sussidio di disoccupazione (passaggio, va sottolineato, non proprio a costo zero per il bilancio dello Stato…), anche se cancellasse la tutela dell’articolo 18 (tranne che per i licenziamenti discriminatori) essa farebbe dell’Italia un Paese più giusto, più progredito. Read More…

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