Pd e legittima difesa, l’irresistibile tentazione di assomigliare alla destra

legitArticolo con Francesco Ferrante su Huffington Post –

Il Partito democratico sembra ormai specializzato in un’impresa persino più temeraria che scrivere e fare approvare leggi socialmente, ambientalmente e civilmente “discutibili”, dal Jobs Act all’attacco alle energie pulite al decreto Minniti sull’immigrazione. La “specialità della casa” sta diventando ancora peggiore: confezionare e varare norme-manifesto nelle quali il “messaggio”, il senso simbolico è più regressivo – si può dire? Più di destra – degli stessi contenuti legislativi.

E’ palesemente il caso della legge appena approvata dalla Camera che allarga i confini della legittima difesa, introducendo una sorta di autorizzazione automatica a usare le armi a casa propria per reagire a intrusioni e aggressioni avvenute di notte. Una norma pasticciata e non chiara, che è sperabile lasci ai magistrati la possibilità di valutare caso per caso come avvenuto finora e come impone un elementare buonsenso. Ma una norma terribilmente inquietante perché trasmette un’idea da brividi: è giusto che i cittadini quando sono vittime di furti o rapine si facciano giustizia da soli, dunque è anche sano che chiunque abbia il timore di vedersi arrivare ladri in casa si armi, si organizzi per poter sparare. Da sempre questa è una linea rossa che divide con nettezza sinistra e destra, ora il Pd l’ha varcata.

E’ bene ripeterlo mille volte: nessun dato di realtà giustifica questa scelta. Come ha ricordato in queste ore Roberto Saviano, tra il 2015 e il 2016 i reati predatori in Italia sono diminuiti del 16%: “Non è più ciò che realmente accade – scrive Saviano – il criterio guida per stabilire come fare le leggi, ma la percezione che le persone hanno della realtà, una percezione indotta dai media che parlano di insicurezza con argomentazioni leghiste”. Read More…

Renzi sta a Macron come i cavoli a merenda

renzi_macrArticolo con Francesco Ferrante su Huffington Post –

A parte l’anagrafe, c’è poco in comune tra Emmanuel Macron e Matteo Renzi. E i tentativi di queste ore, di questi giorni, del mondo renziano di annettersi alla vittoria di Macron nel primo turno delle presidenziali francesi, e quella annunciata del ballottaggio del 7 maggio contro Marine Le Pen, suonano disperati e vagamente patetici.

Macron è un “enfant prodige” delle élite tecnocratiche – diplomato all’Ena, brillante e fulminea carriera nel gruppo Rothschild -, Renzi ha fatto sempre e solo il politico scalando, anche lui va detto con indubbia brillantezza, i gradini della nomenclatura interna di partito: segretario provinciale del Partito popolare e della Margherita fiorentini, presidente della provincia e poi sindaco sempre a Firenze, segretario del Pd e per questa via, senza battesimo elettorale, presidente del consiglio.

Macron è un leader senza partito, ha vinto il primo tempo delle presidenziali e probabilmente vincerà la partita contro qualunque previsione e contro tutti i partiti, vecchi e meno vecchi, della quinta repubblica francese. Renzi è un leader di partito sconfitto, sconfitto rovinosamente dal referendum del 4 dicembre, e la sua via per provare a ritrovare il potere perduto passa dalla riconquista della segreteria del Partito democratico. È quasi certo che riuscirà in quest’impresa, grazie al voto nelle primarie del 30 aprile di alcune centinaia di migliaia di iscritti del Pd e grazie soprattutto all’appoggio del 90% dei gruppi dirigenti (segretari provinciali e regionali, parlamentari, consiglieri regionali) democratici.

Questa differenza pesa, e pesa molto, sui rispettivi profili: consente a Macron di presentarsi per ora credibilmente – e nonostante i suoi due anni da ministro “tecnico” dell’economia di Hollande – come leader al tempo stesso competente ed estraneo a quel mondo della politica e dei partiti che attualmente riscuote la disistima pressoché unanime dei cittadini. Impedisce a Renzi di riproporre di sé con un minimo di credibilità l’immagine che a suo tempo lo rese attraente: quella del “rottamatore”, di “homo novus” deciso a farla finita con la “vecchia politica”, i suoi privilegi, i suoi riti e linguaggi novecenteschi; di un leader non “oltre la sinistra e la destra” come dice di sé Macron, ma che sembrava volere “ringiovanire” la sinistra immergendola nei problemi e nei bisogni del tempo presente. Read More…

Ebrei e 25 aprile: che tristezza

Stefano Parisi con La Brigata ebraica durante la manifestazione del 25 aprile per la liberazione d'Italia . Milano, 25 aprile 2016. ANSA/MOURAD BALTI TOUATI

Articolo su Huffington Post –

Come da qualche anno, anche questo 25 aprile mette in scena a Roma il muro contro muro tra l’Anpi cittadina e i vertici della più grande comunità ebraica d’Italia. Ruth Dureghello, presidente degli ebrei romani, accusa l’Anpi di tollerare e anzi incoraggiare la partecipazione al corteo che ricorda la Liberazione di organizzazioni palestinesi e filopalestinesi estremiste, cioè di quegli stessi gruppi che da tempo utilizzano il “pretesto” del 25 aprile per manifestare contro Israele; per questo ha annunciato che gli ebrei di Roma ricorderanno per conto loro l’anniversario, con un presidio in via Balbo dov’era la sede della Brigata Ebraica che combatté pure in Italia contro i nazifascisti.

In questa vicenda c’è moltissimo di serio ma anche molto di grottesco.

E’ serio ed è sacrosanto che la comunità ebraica romana pretenda di essere considerata “padrona di casa” a pieno titolo nelle celebrazioni del 25 aprile, e che non accetti che queste si trasformino in manifestazioni antisraeliane in cui vengono insultati il nome di Israele, la stella di Davide e ciò che rappresentano di prezioso, quasi di sacro, per la gran parte degli ebrei di tutto il mondo. I comportamenti dei governi israeliani possono essere – per me e per tanti ebrei come me spesso sono – detestabili; ma la storia non si può e non si deve rovesciare, e la storia della nostra Resistenza dice che furono più di mille gli ebrei italiani attivamente impegnati nella guerra contro i nazisti e i fascisti: un numero alto, sia in rapporto alle dimensioni delle comunità ebraiche in Italia sia per il rischio speciale che essi correvano in caso di cattura da parte dei nazifascisti. Molti partigiani ebrei hanno nomi noti: Eugenio Curiel, Vittorio Foa, Eugenio Colorni, Primo Levi, Enzo ed Emilio Sereni, Elio Toaff, Umberto Terracini, Leo Valiani. La loro scelta non fu un caso isolato in Europa: basti pensare alla Brigata Ebraica al comando del generale ebreo canadese Benjamin che operò anche in Italia, composta di 5 mila volontari ebrei provenienti da ogni parte del mondo e inquadrata nell’esercito britannico. Per questo, oltre che naturalmente per il significato simbolico della festa del 25 aprile – ricordare e celebrare la liberazione dell’Italia da nazisti e fascisti, cioè da coloro eseguirono (i primi) e attivamente sostennero (i secondi) lo sterminio pianificato di 6 milioni di ebrei -, è una ferita grave l’assenza della stella di Davide dalle manifestazioni per l’anniversario della Liberazione. Read More…

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