La famiglia Riva, proprietaria dell’Ilva di Taranto, sentitamente ringrazia. Ringrazia il governo Renzi, e con particolare calore i ministri Guidi e Galletti, per quest’ultimo decreto, appena approvato dal Consiglio dei Ministri, che fa giustizia dell’odioso tentativo di mettere fine a decenni di inquinamento industriale impunito, diavvelenamento sistematico dell’acqua, della terra e dell’aria della città di Taranto.
Ironia a parte, queste norme varate dal governo hanno dell’incredibile. A Taranto i veleni dell’Ilva continuano ad uccidere: secondo i dati più recenti dell’Istituto Superiore di Sanità le morti tra i bambini sono del 22% più alte della media standard. Se come pare i livelli di inquinamento negli ultimi mesi si sono ridotti, ciò dipende solo dal fatto che la fabbrica lavora a basso ritmo, mentre gli interventi di messa in sicurezza ambientale e sanitaria degli impianti procedono molto lentamente. Come reagisce il governo Renzi a questa grande, drammatica, ormai cronica emergenza? Reagisce stabilendo che i quattrini necessari a finanziare il risanamento vengano dalle banche, con lo Stato in veste di garante dei prestiti, e che nemmeno un euro venga attinto dai fondi sequestrati alla proprietà dell’azienda siderurgica; e poi reagisce prevedendo che l’Ilva possa derogare al 20% delle prescrizioni contenute nell’Autorizzazione Integrata Ambientale, che fissa obiettivi e tempi di un possibile percorso di “ambientalizzazione”.
Così la famiglia Riva, mentre a Taranto siede sul banco degli imputati per associazione a delinquere finalizzata a disastro ambientale, a Roma ottiene da Renzi quello che nemmeno Monti e Letta, non proprio due premier ecologisti, le avevano concesso. E paradosso nel paradosso, questo decreto “salva-Riva” non dà alcuna risposta vera nemmeno all’altro dramma tarantino collegato all’Ilva: l’incerto destino occupazionale di migliaia di lavoratori dell’impianto. Perché senza una terapia-choc che affronti alla radice il nodo di una fabbrica che da decenni avvelena Taranto e i tarantini, anche disegnando una prospettiva lungimirante di riconversione industriale, il futuro di chi lavora all’Ilva è segnato.
Renzi ripete ossessivamente che vuole “cambiare verso”. Ma sull’Ilva, finora, ha lisciato il pelo alla parte più retriva di Confindustria chiusa a riccio nella difesa dei Riva. Prima ha nominato Gnudi – uomo targato Confindustria – al posto di Bondi come commissario al risanamento, ora mette la firma su un decreto che sembra scritto da quegli stessi politici – locali e nazionali, di destra e di sinistra – che per anni hanno fatto a gara nell’ingraziarsi i padroni dell’Ilva (e nel farsene finanziare), infischiandosene delle conseguenze per la salute dei tarantini.
Insomma, le mosse del governo Renzi sul caso-Ilva segnano il trionfo della conservazione, e della peggiore conservazione. Dicono di un’idea dello sviluppo del tutto obsoleta, sono il contrario di ciò che serve all’Italia per crescere con equità e sostenibilità. Questa volta allora te lo diciamo noi: Matteo cambia verso.
Roberto Della Seta
Francesco Ferrante