Articolo sul Fatto Quotidiano
Negare “in tutto o in parte” la Shoah e in genere i crimini di genocidio, di guerra, contro l’umanità, sta per diventare reato: manca solo il sigillo definitivo del Senato, dopo che martedì la Camera ha approvato in seconda lettura e con minime modifiche un testo “multipartisan” (Pd, sinistra, destra; astenuti i Cinquestelle) che sanziona il “negazionismo” come aggravante del reato di istigazione alla violenza e all’odio razziali.
Malgrado il largo consenso ricevuto in Parlamento, l’introduzione del reato di negazionismo è un tema controverso, su cui in un recente passato non sono mancate discussioni e polemiche.
In Italia il primo a lanciare l’idea fu nel 2007 l’allora ministro della giustizia Mastella. Moltissimi approvarono, altri sollevarono dubbi. Stefano Rodotà scrisse che la norma proposta era “una di quelle misure che si rivelano al tempo stesso inefficaci e pericolose”. Alcuni autorevoli storici italiani – da Carlo Ginzburg a Giovanni De Luna, da Sergio Luzzatto a Bruno Bongiovanni – promossero un appello pubblico in cui sostenevano che “ogni verità imposta dall’autorità statale non può che minare la fiducia nel libero confronto di posizioni e nella libera ricerca storiografica e intellettuale”. Punti di vista analoghi espressero nell’occasione intellettuali europei come Paul Ginsborg e Thimoty Garton Ash.
Rispetto alla proposta originaria di Mastella, che sul momento cadde nel vuoto, il disegno di legge appena approvato dalla Camera presenta una differenza: non si colpisce il negazionismo quale reato a sé, ma lo si qualifica come aggravante di reati già esistenti. Il punto però non cambia e io trovo che le obiezioni portate a suo tempo da Rodotà, da Ginzburg, da Luzzatto restino totalmente valide. Lo Stato non può e non deve intervenire in tema di libertà del pensiero, della parola, della ricerca storica; non può e non deve nemmeno di fronte ad affermazioni aberranti come la negazione o la minimizzazione di un fatto – lo sterminio pianificato e sistematico di milioni ebrei da parte del nazismo e dei suoi alleati – che solo persone in malafede o incapaci d’intendere possono mettere in discussione.
Peraltro va anche osservato che nei Paesi europei dove il negazionismo è reato da anni – Francia, Germania, Austria, Lituania, Romania, Slovacchia… – questo non ha impedito il progressivo emergere di forze apertamente xenofobe e in più di un caso esplicitamente antisemite. Così, per esempio, il negazionista sedicente storico David Irving è considerato una grottesca macchietta a casa sua, in Inghilterra, dove il reato di negazionismo non esiste ma dove conta, e conta molto, la reputazione pubblica, mentre in Austria, dove è stato processato e condannato per le sue tesi deliranti, può atteggiarsi a vittima ottenendo larga e gratuita pubblicità.
Io sono ebreo, la mia famiglia ha lasciato dieci corpi nei forni di Auschwitz. Ebbene io trovo avvilente che per affermare una verità di assoluta evidenza quale è il carattere raccapricciante e “unico” della Shoah, si pensi di dover ricorrere a una norma di legge. L’idea di una verità storica di Stato non solo è di per sé inaccettabile, ma in questo caso rischia di offrire un alibi all’incapacità che abbiamo tutti come corpo sociale – nella scuola, nella famiglia – di contrastare il negazionismo sull’unico terreno appropriato: il terreno dell’educazione, dell’informazione, della cultura, il terreno della conservazione e della trasmissione della memoria della Shoah. Insomma della società.