Articolo con Francesco Ferrante su Huffington Post –
È sempre più difficile in Italia liberarsi da un modello di dibattito pubblico, oggi del tutto prevalente, che declina il confronto su questo o quel tema controverso come lotta tra opposte tifoserie. È sempre più difficile in questi casi dare spazio a quella formula aurea che accompagnava la testata di un grande settimanale del passato: “I fatti separati dalle opinioni”. Così è, vistosamente, anche per l’Ilva di Taranto.
La conclusione di un accordo parrebbe definitivo tra governo, acquirenti privati dello stabilimento – Arcelor Mittal – e parti sindacali che fissa le “regole d’ingaggio” per il futuro dell’azienda è stato accolto, per l’appunto, da reazioni prevalentemente “tifose”. I tifosi del governo precedente, guidati dall’ex-ministro dello sviluppo Calenda, hanno detto che il nuovo accordo è identico al precedente; che l’attuale ministro dello sviluppo Di Maio ha solo perso un sacco di tempo pur di mettere in cattiva luce il suo predecessore; che il parere dell’Avvocatura dello Stato sbandierato da Di Maio come prova che la gara allestita a suo tempo per scegliere gli acquirenti dell’Ilva era piena di falle dice in realtà il contrario, dice cioè che la gara era correttissima. I tifosi del governo attuale ripetono in coro che, come ha dichiarato lo stesso Di Maio, è stato ottenuto il massimo per riparare agli errori, o peggio, di Calenda e soci.
Queste le opposte, più o meno legittime propagande. Il problema è che i racconti giornalistici di tutto ciò non sono andati molto oltre.
Ma quali sono i “fatti”?
I fatti, leggendo i testi, sono che di miglioramenti dal vecchio (Calenda) al nuovo (Di Maio) accordo – miglioramenti nel senso dell’interesse pubblico – ce ne sono parecchi e rilevanti. È un miglioramento la garanzia che tutti i lavoratori in esubero che non accetteranno l’uscita incentivata dovranno essere assunti direttamente da Arcelor Mittal (e non, come nel vecchio accordo, in incerte e futuribili attività “esternalizzate”). È un miglioramento la prescrizione che la copertura di uno dei parchi minerali, le fonti principali di avvelenamento della città di Taranto, dovrà essere ultimata entro il 2019, con un anticipo significativo rispetto a quanto era scritto nell’accordo proposto da Calenda, e che entro il prossimo aprile dovrà essere ricoperto il 50% del parco più vicino al centro abitato (al quartiere Tamburi) che causa l’impatto sanitario più pesante per i tarantini. È un miglioramento la clausola che prevede che ogni aumento di produzione rispetto agli odierni 6 milioni di tonnellate annue di acciaio sia autorizzabile solo se non comporterà un aumento delle emissioni inquinanti.
Quanto al parere dell’Avvocatura dello Stato sulla correttezza della gara, esso certo non invita esplicitamente, come adombrato da Di Maio, ad annullare la procedura, ma riconosce che nel suo svolgimento vi furono zone d’ombra: “La mancata valutazione della nuova offerta in rilancio formulata da Acciai Italia (l’altra cordata in gara per Ilva) – così l’Avvocatura – può assumere rilievo di quell’eccesso di potere che sarebbe uno dei due presupposti per annullare la gara”. Ma secondo l’Avvocatura manca l’altro presupposto per l’annullamento, cioè la sussistenza di “un interesse pubblico concreto ed attuale, particolarmente corroborato”.
Infine, e anche questo è un fatto, appare innegabile che sul futuro dell’Ilva la posizione dei Cinque stelle di qualche mese fa, principale forza di opposizione, sia assai lontana dalla posizione dei Cinque stelle di governo. Allora erano per la chiusura dell’impianto, oggi hanno assunto decisioni grazie alle quali l’impianto continuerà a produrre.
Esaurito il capitolo dei “fatti”, resta naturalmente tutto lo spazio per le “opinioni”. La nostra, da ambientalisti che da qualche decennio seguono il problema Ilva, che da qualche decennio con Legambiente sono impegnati per denunciare il dramma di una città – Taranto – impunemente avvelenata da una fabbrica fuorilegge nella complicità o nell’indifferenza della politica nazionale e locale (quasi tutta), è che la soluzione trovata – dunque la bozza – Di Maio che riprende e migliora la bozza – Calenda – sia un compromesso. Un compromesso che arriva dopo quasi vent’anni di gestione privata irresponsabile da parte della famiglia Riva e dopo oltre cinque anni di commissariamento pubblico in cui i vari governi succedutisi hanno da una parte lasciato cadere la strada tecnologica della decarbonizzazione suggerita a suo tempo dai primi commissari Bondi e Ronchi, ambientalmente la più promettente, e dall’altra hanno sfornato decreti che derogavano per l’Ilva dalle normative ambientali ordinarie e mettevano i bastoni tra le ruote alla magistratura che ha sollevato il coperchio sui gravissimi danni alla salute provocati dalla fabbrica. Un compromesso che forse, se tutti gli attori faranno dignitosamente e con responsabilità la loro parte, potrà salvare il lavoro delle migliaia di persone che di Ilva vivono ed impedire al tempo stesso che di Ilva la città di Taranto finisca per morire.