Il mio ultimo libro: “La sinistra e la città. Dalle lotte contro il sacco urbanistico ai patti col partito del cemento”.
La città e la possibilità di governarne lo sviluppo per il bene comune sono temi fondativi della sinistra. Basta riandare alla Manchester descritta da Engels o alle lotte di inizio Novecento per i diritti elementari e i bisogni primari del proletariato urbano, da cui presero l’avvio partiti e sindacati di sinistra e la stessa urbanistica moderna. Da qui, la riflessione dei due autori Roberto Della Seta e Edoardo Zanchini del libro ” La sinistra e la città. Dalle lotte contro il sacco urbanistico ai patti col partito del cemento” (Donzelli editore) arriva a esplorare un paradosso italiano. Vi è stato un tempo, nel dopoguerra, in cui la sinistra – non solo quella comunista – rifiutava l’etichetta di riformista, ma nei fatti metteva in campo, sulla città, visioni e azioni squisitamente riformiste. Erano gli anni delle lotte contro il sacco urbanistico di Roma, Napoli, Palermo e contro i comitati d’affari incistati nella politica; e gli anni di alleanze per l’epoca decisamente inedite. Ed ecco il paradosso. Mentre oggi la sinistra rivendica con orgoglio la propria natura riformista, ha quasi smarrito la tensione di allora: distante com’è dalla riflessione attualissima sull’urgenza di un freno al consumo di suolo; troppo legata, in alcuni, a pregiudizi ideologici – la mitizzazione dell’esproprio, la demonizzazione dei privati – e troppo vicina, in tanti altri, a quel “partito del cemento” trasversale che spesso detta legge sul futuro delle città ed è fonte di inquinamento affaristico della politica. Ma la sinistra può permettersi di tradire la città? O non rischia così di condannare se stessa?