Post su Huffington Post con Francesco Ferrante
In un post su queste pagine Stefano Fassina propone la sua ricetta per dare nuovo senso e rinnovato futuro alla sinistra italiana: ripartire dalla Patria e dalla Nazione, “prendere atto che la via della sovranità democratica europea è illusoria”. Per Fassina, bisogna tornare a una forte e indisturbata sovranità nazionale, solo così sarà possibile difendere gli interessi e rispondere ai bisogni degli italiani.
Per sostenere il suo ragionamento, Fassina utilizza indistintamente, come sinonimi, i concetti di “patria” e di “nazione”. Ma patria e nazione non sono sinonimi. La patria e il patriottismo indicano un’appartenenza “di progetto”, in cui ci si riconosce non sulla base di una più o meno presunta omogeneità “di sangue” ma perché si condividono valori, interessi, aspirazioni. La nazione è tutt’altro. Sul piano culturale è un concetto essenzialmente descrittivo, per indicare una comunità legata da vincoli storici, territoriali, linguistici. Trasferito sul piano dell’agire “politico”, il concetto di nazione finisce quasi inevitabilmente per degenerare in nazionalismo: è il “Prima gli italiani” di Salvini o “l’America first” di Donald Trump, sono le politiche di odio e rifiuto verso gli immigrati per lasciare da parte esempi meno attuali e più tragici.
Ma soprattutto: ridurre settant’anni di costruzione europea, di iniziali e certo imperfette cessioni di sovranità dagli Stati nazionali alle istituzioni comunitarie, a un disegno rivolto a contrastare “l’attuazione delle libertà e dei diritti della persona a cominciare dalla dignità del lavoro” – così ancora Fassina -, è il contrario della verità.
L’Europa odierna ha immensi limiti e difetti. Ma anche grazie all’Europa, alle sue leggi e alla sua “moral suasion”, l’Italia è diventata un Paese migliore, più giusto, più sicuro dall’ambiente ai diritti sociali ai diritti civili. E d’altra parte, il principale problema dell’Europa è nel fatto che le sue decisioni sono prese quasi tutte sulla base di logiche intergovernative; ciò che le manca è un centro decisionale democraticamente legittimato e autenticamente sovranazionale, dunque l’opposto del ritorno alla piena sovranità nazionale auspicato da Fassina per l’Italia.
All’Italia, caro Fassina, serve un’Europa molto più potente di quella odierna. Serve all’Italia e serve a ognuno dei 28 – oggi quasi 27 – membri dell’Unione. Il “vecchio continente” rappresenta – come superficie, come popolazione, sempre di più anche come Pil – una piccola parte del mondo. Se del mondo, di un mondo dove si stanno affermando protagonisti demografici ed economici incomparabilmente più grandi di noi, non vogliamo diventare “periferia”, dobbiamo affidarci a “più Europa”.
Il patriottismo è un sentimento importante. Fassina giustamente ricorda che ebbe un carattere fondamentalmente patriottico la Resistenza al nazifascismo e che l’ideale di patria ha un posto centrale nella nostra Costituzione. Ma la Resistenza e la Costituzione, espressione la prima e frutto la seconda di una guerra civile tra italiani, sono quanto di più lontano da un uso politico dell’idea di nazione; in esse la patria è vincolo di progetto, non di sangue. Come intuirono settant’anni fa Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, indiscutibilmente due patrioti italiani, non vi è contraddizione tra “amore patrio” verso l’Italia e scelta di riconoscersi, da italiani, in una più larga patria europea: non vi è contraddizione se questa duplice appartenenza risponde allo stesso orizzonte di valori e di obiettivi.
In questo senso, Fassina fa un lungo passo indietro rispetto all’idea di un’Europa democratica, federale, sociale consegnata da Spinelli e Rossi nel “Manifesto di Ventotene”. Fa un passo indietro che lo porta a “riscoprire” attualizzandolo una sorta di “socialismo nazionale”. Dalla classe alla nazione per inseguire la destra sovranista e nazionalista: mamma mia!