Articolo di Roberto Della Seta e Francesco Ferrante su Huffington Post
Si dice: vent’anni di berlusconismo hanno affossato l’Italia. Vero, ma con una “avvertenza”: che per buoni sette di questi vent’anni al governo dell’Italia c’è stata la sinistra e che sempre nel “ventennio” la sinistra è stata forza principale di governo in molte regioni e città del Paese.
Che cosa ha fatto la sinistra italiana per contrastare sul campo dell’azione di governo il berlusconismo, per mostrare non a parole ma con i comportamenti e con le decisioni di essere “un’altra cosa”, una “cosa” alternativa sul piano dell’etica pubblica, del senso civico, della sensibilità sociale?
Due vicende diverse tra loro ma entrambe legate alla “questione ambientale” – l’Ilva di Taranto sotto sequestro perché da decenni avvelena un’intera città e la “terra dei fuochi” nel casertano piena zeppa di discariche della camorra – spingono a rispondere: ha fatto poco o niente.
La storia dell’Ilva è nota, ed è noto che dopo anni di colpevole distrazione la magistratura è intervenuta per riportare legalità nel polo siderurgico tarantino, uno dei più grandi e dei peggio gestiti, rispetto all’impatto su ambiente e salute, del mondo. Diranno le sentenze, se e quando arriveranno, in che dimensione e fino a quale profondità la politica nazionale e locale si sia fatta autrice o complice di reati; in particolare complice dei reati contestati alla famiglia Riva, che acquistò per poche lire la fabbrica dall’Iri negli anni ’90 e per quindici anni ha accumulato miliardi di profitti senza impiegarne lo “zero virgola” per ridurre, come prescrive la legge e come si è fatto nella siderurgia di mezzo mondo dalla Germania alla Corea, la potenza di avvelenamento dei forni e dei depositi (tuttora a cielo aperto) di ferro e carbone.
Ma in attesa dei processi e delle sentenze, alcune verità già sono assodate. Una è che dei veleni dell’Ilva e delle omissioni dei Riva si sa da tempo. Le prime denunce sull’altissimo impatto inquinante della fabbrica di acciaio tarantina risalgono a più di vent’anni fa, merito di associazioni ecologiste e di gruppi auto-organizzati di abitanti di Taranto che a lungo sono stati gli unici a urlare che mettere lavoro contro ambiente e salute era una scelta senza dignità e senza futuro.
Gli altri, quasi tutti gli altri, hanno lasciato che il problema marcisse: l’azienda naturalmente, il sindacato, la politica. Di questa fitta rete di silenzi, compiacenze e aperte complicità ha fatto parte integrante la sinistra, che governa la Regione da 8 anni e Taranto da 6. La sinistra che con troppi suoi esponenti sia locali che nazionali ha intrattenuto robuste relazioni “informali” con i Riva: valgano per tutti gli esempi di Pierluigi Bersani, che da responsabile economico dei Ds accolse dai proprietari dell’Ilva nel 2006 un finanziamento elettorale di 100 mila euro – formalmente lecito ma quanto meno “inopportuno” -, o di Ludovico Vico, già deputato Pd e oggi commissario del Partito democratico a Lecce, che nel 2010 al telefono con Archinà (“spicciafaccende” dei Riva) prometteva di far “buttare sangue” a uno dei due scriventi, colpevole di battersi in Parlamento contro un’ennesima norma “ad aziendam” inventata per legalizzare l’illegalità dell’Ilva.
Discorso in parte analogo si può fare per la “terra dei fuochi”. Anche in questo caso che si tratti di un grande dramma sanitario, ambientale, economico è risaputo da un pezzo: almeno da quando, anni prima che Saviano pubblicasse “Gomorra”, Legambiente coniò – era il 1994 – il termine “ecomafie” proprio partendo dalla realtà terribile di un ampio tratto di territorio tra Napoli e Caserta ricolmo di rifiuti industriali seppelliti dalla criminalità organizzata.
Bene, anzi malissimo: perché in vent’anni la politica ha evitato accuratamente di affrontare il problema. Assente, o in tanti casi complice dell’illegalità, la politica locale sinistra compresa – la Regione Campania e molti dei Comuni della “terra dei fuochi” sono stati governati a lungo dalla sinistra … -, e assente la politica nazionale: per esempio, nessun Parlamento della seconda Repubblica, né a maggioranza di destra né di sinistra, ha votato finora l’inserimento organico dei reati ambientali nel codice penale, passaggio decisivo per dare a magistrati e forze dell’ordine strumenti efficaci nella lotta alle ecomafie. Anche contro questa assenza “Green Italia” sarà a Napoli il 16 novembre prossimo – accanto a cittadini, associazioni, comitati – alla manifestazione sulla “terra dei fuochi”: per obbligare la politica a uscire dalle vuote chiacchiere e dalle finte indignazioni dando almeno strumenti seri, efficaci a chi sul territorio contrasta le ecomafie.
Ilva di Taranto e “terra dei fuochi” sono simboli dell’Italia peggiore, importanti sia per la gravità delle rispettive conseguenze sociali, sia perché entrambi vedono l’intreccio tra fenomeni – illegalità diffusa, rapporti impropri tra politica e interessi economici, degrado ambientale – che identificano alcuni dei capitoli più corposi del “declino” italiano; del declino civile e anche di quello economico, visto che l’incapacità dello Stato di far valere per tutti le sue regole e di combattere senza ambiguità l’economia illegale è stata – nel Sud e non solo – un formidabile antidoto allo sviluppo.
Ecco, sarebbe bene che la sinistra, mentre ragiona del suo futuro e pregusta la fine del berlusconismo, si mostrasse consapevole che rispetto a questi mali, negli ultimi due decenni, essa è stata parte del problema e non della soluzione.