Articolo con Francesco Ferrante su Huffington Post
L’esclusione di Ermete Realacci dalle liste del Pd per le elezioni del 4 marzo mette il punto esclamativo su un’evidenza ormai palmare: contrariamente a tutte le forze politiche che in Europa e nel mondo stanno provando a ridare senso e futuro alle idee di sinistra e di progresso – dal Labour britannico ai Democratici americani, da Podemos in Spagna ai Grünen tedeschi -, il Partito democratico cancella definitivamente l’ambiente dalle sue parole chiave.Va detto che questa “deriva” non è cominciata con Matteo Renzi. Il Pd era nato con l’ambizione, dichiarata esplicitamente dal suo “fondatore” Walter Veltroni, di farne un partito nuovo non solo nel nome ma nel “corpo” e nell'”anima”, di costruirlo anche partendo dalla centralità, per l’appunto, della questione ambientale. Tutto questo non è successo, Renzi ha solo completato il lavoro .Il Pd non ha mai creduto che l’ambiente sia un tema decisivo per il benessere sociale e per lo sviluppo economico. Che lo sia per tutta l’umanità – i cambiamenti climatici distruggono ricchezza e alimentano fenomeni socialmente devastanti come le ondate sempre più massicce di profughi ambientali -, che lo sia a maggior ragione per l’Europa e per l’Italia: perché la sostenibilità ambientale è oggi una delle molle fondamentali dell’innovazione tecnologica ed è dunque il terreno più promettente su cui le economie avanzate possono reggere e in tanti casi vincere la concorrenza di quelle emergenti.L’esempio più lampante di questo “valore d’uso” dell’ambiente per noi europei viene dall’energia: investire in fonti rinnovabili e in efficienza energetica serve a ridurre l’inquinamento e a fermare il “climate change” ma poi vuol dire per l’Europa sovranità energetica – buona parte delle energie fossili le importiamo –, posti di lavoro ad alto livello di qualificazione e più competitività per le nostre imprese.Di questa parabola anti-ecologica del Pd, il caso-Realacci è l’ultimo e più vistoso indizio. Non tanto per la scelta in sé di escludere dalle liste un parlamentare autorevole e brillante, che solo in quest’ultima legislatura ha contribuito in modo decisivo a portare a casa leggi importanti come quella sugli ecoreati o l’estensione dell’ecobonus fiscale agli interventi di messa in sicurezza antisismica di case e condomìni: questa semmai è una prova ulteriore della vocazione di Renzi a cacciare i “disobbidienti”, i “non allineati” alle opinioni del capo.
Ma il punto davvero grave è che il Pd renziano da una parte si è sbarazzato di Realacci, dall’altra non ha nessuno, nelle sue liste e dunque nei prossimi gruppi parlamentari, che sia anche lontanamente espressione della cultura ecologista, che rappresenti quel mondo sempre più largo di bisogni e di interessi legati alla qualità ambientale che raggruppa milioni di cittadini, migliaia di imprese, una rete fitta di esperienze associative e civiche. Nei referendum contro le trivellazioni petrolifere di metà 2016, 13 milioni di elettori (tra questi, come disse pubblicamente, lo stesso Realacci) votarono contro la politica energetica del governo Renzi che boicottava i produttori di energia pulita e favoriva i grandi interessi fossili a cominciare dall’Eni. Buona parte di quel popolo era fatto di elettori tendenzialmente di centrosinistra: il divorzio tra Pd e ambiente superò allora una soglia critica, che oggi si rivela come un punto di non ritorno. Non va meglio purtroppo con gli altri schieramenti in campo per il voto del 4 marzo, a eccezione dei “Liberi e Uguali” guidati da Pietro Grasso nel cui discorso pubblico l’ambiente ha un posto centrale e tra i cui capilista figurano l’ex-presidente di Legambiente Rossella Muroni, Annalisa Corrado che da ingegnere ambientale si occupa da anni di innovazione energetica, Lucio Cavazzoni fondatore di “Alce Nero” che è una delle più grandi aziende agroalimentari biologiche. Toccherà a questi pochi “extraterrestri” della politica italiana portare le ragioni dell’ambiente nel prossimo Parlamento. Toccherà a loro, soprattutto, impegnarsi da dentro il “palazzo” per costruire dopo il 4 marzo un centrosinistra vero e contemporaneo, che come capita in mezzo mondo e non solo a sinistra – Merkel. Macron… – scelga il “green” come uno dei suoi colori.