Articolo con Francesco Ferrante su Huffington Post
Da politici anche di primo piano come Carlo Calenda a giornalisti di varia autorevolezza, l’ultimo Paolo Griseri su “Repubblica”, è tutto un caldo invito agli ambientalisti italiani: fate come in Germania, lasciatevi alle spalle i “no” a tutto – grandi opere, industria, tecnologia – che sono stati finora la vostra impronta e seguite l’esempio dei “Grünen” tedeschi che hanno fatto pace col progresso e grazie a questo sono esplosi nel consenso.
Ora, che nell’ambientalismo – non solo ma anche italiano – risuonino talvolta sensibilità e atteggiamenti “antimoderni” è fuori dubbio, così come è innegabile che i Verdi italiani a differenza di quasi tutti gli altri Verdi europei non abbiano saputo cogliere il passaggio d’epoca che ha trasformato la questione ambientale da grido allarmato sui rischi che l’uomo contemporaneo fa correre agli ecosistemi nel terreno di un’alleanza di bisogni e d’interessi con quella parte crescente di opinione pubblica consapevole che la crisi ecologica, a cominciare dall’emergenza climatica, è una minaccia innanzitutto per il benessere di noi umani, e con quel pezzo, anch’esso sempre più grande, di economia, con le migliaia di imprese italiane che su tale consapevolezza hanno scommesso con successo. Per questo oggi all’Italia servirebbe come il pane una forza ecologista “di nuovo conio”, radicale e rigorosa nella proposta e capace di interpretare al meglio, anche sul piano delle alleanze sociali e politiche, l’odierna centralità dei temi ambientali.
E però, resta molto di cacofonico negli appelli di cui sopra: di stonato sia nell’analisi sia nella credibilità di chi la propone.
Contrapporre un ambientalismo “del no” a uno “del sì” è una letterale stupidaggine. Molti no detti con forza dagli ambientalisti italiani sono stati non solo sacrosanti, ma provvidenziali: su tutti il no al nucleare, che ha evitato all’Italia d’imbarcarsi in un’avventura tecnologica non solo pericolosa per la salute dei cittadini ma economicamente fallimentare. Se nel 2011, per la seconda volta dopo il 1987, gli italiani a larghissima maggioranza non avessero detto no all’energia dell’atomo, oggi l’Enel non sarebbe il campione di economia green che è diventato, ma un carrozzone aggravato da investimenti miliardari privi di futuro.
Dopo di che i no non sono tutti uguali. Alcuni sono insensati anche su un piano strettamente ambientale, basti pensare ai comitati – spesso spalleggiati dalla politica di ogni colore – che si oppongono a innocui e utilissimi impianti per il riciclo dei rifiuti, altri hanno basi razionali più che solide: compresso il no alla Torino-Lione, sfida oggi perduta anche e molto perché trasformata dai no-Tav valsusini in un’anacronistica guerra autarchica contro gli “invasori”, ma fondata su argomenti solidi e tutt’altro che antimoderni. Quel tunnel probabilmente si farà, ma le merci sulla direttrice Italia-Francia continueranno a viaggiare prevalentemente su strada, inquinando e intasando molto di più che se corressero su ferro, per la banale ragione che a frenarne lo spostamento sui binari non era e non è l’insufficiente capacità delle attuali linee ferroviarie ma una politica dei trasporti che privilegia con sussidi di ogni tipo l’autotrasporto invece di disincentivarlo come si fa per esempio in Austria e in Svizzera.
Quanto all’ex-Ilva, altro caso invocato di frequente per dimostrare l’antimodernità di chi come gli ecologisti italiani denuncia da decenni che quella fabbrica avvelena illegalmente e impunemente chi ci lavora e chi abita a Taranto, se ci si sta avvicinando sempre di più alla possibilità, socialmente drammatica, che quella fabbrica debba chiudere, la colpa è di chi fino a oggi ha consentito che producesse acciaio infischiandosene della salute di lavoratori e cittadini.
La verità è che le invocazioni agli ambientalisti perché “diventino adulti” rimandano spesso a un diverso auspicio: che la smettano di rompere le scatole, di proporre un punto di vista altro su cosa siano sviluppo e progresso rispetto alle forze politiche tradizionali (cosa che peraltro i “Grünen” e in generale i Verdi europei non hanno mai smesso di fare). Per capirlo basta dare un’occhiata al curriculum degli “invocatori”: ministri dello sviluppo tra i più “antiecologici” della storia recente – Calenda – o commentatori come Griseri che fino a ieri hanno difeso appassionatamente modelli produttivi – tipo la Fiat – che stanno fallendo proprio per non avere saputo e voluto vedere i problemi, su tutti l’emergenza climatica, che gli ambientalisti segnalano da qualche decennio. A loro, più che un ambientalismo rinnovato e modernizzato piacerebbero dei Verdi talmente sbiaditi da sembrare trasparenti.