Meno ‘scafato’ (rafforzativo romanesco per ‘furbo’) e probabilmente più serio di ministri, presidente di regione e presidente del consiglio, il sindaco Doria è andato perle strade di Genova seppellite dal fango a metterci la faccia, e com’era prevedibile s’è preso insulti anche per tutti gli altri. Ma nella catena delle responsabilità che hanno portato a questa ennesima alluvione genovese, lui davvero non è che l’ultimo anello. Per dirne una, si sono perse le tracce di quell’assessore regionale alla protezione civile Raffaella Paita – la stessa scelta dal Pd come erede di Burlando per le imminenti elezioni regionali – dalla cui competenza dipendono gli allarmi meteo. Nel pomeriggio di mercoledì già in molti, tra questi la Società Meteorologica Italiana di Luca Mercalli, avevano diffuso comunicati prevedendo per Genova e Sestri Levante “Elevato rischio di allagamenti , dissesti e situazioni alluvionali”, ma dopo il disastro l’assessore ha dichiarato che “I modelli telematici previsionali non riportavano condizioni tecniche e scientifiche tali da emanare un’allerta”.
Del resto è difficile stabilire una gerarchia delle colpe: sono troppe e alcune sono troppo antiche. C’entra, naturalmente, il modo selvaggio in cui nel Novecento e in particolare negli anni del secondo dopoguerra è stata fatta crescere Genova: nel suo sottosuolo scorrono più di 100 ‘rivi’ tombati, che una cementificazione dissennata ha trasformato in altrettante bombe a orologeria pronte a esplodere. Oggi, si dice, il problema da cui nasce anche questa nuova tragedia sono i soldi insufficienti investiti dallo Stato per la messa in sicurezza della città e quelli stanziati ma non spesi per beghe burocratiche e lungaggini giudiziarie. Vero anche questo: però è semplicemente ridicolo sostenere che se a Genova i progetti per la difesa idraulica sono un monumento alle buone intenzioni che portano all’inferno, i colpevoli sono i tribunali.
La verità è che prima ancora delle piogge eccezionali, e molto prima pure dei Tar e della burocrazia, a soffocare da decenni Genova è una politica nazionale e locale che continua a predicare bene nei giorni che seguono ogni alluvione o inondazione o frana causata dal malgoverno del territorio, e a razzolare malissimo per tutto il resto del tempo. Da una parte vi è l’erosione continua dei fondi, già pochi in origine, destinati alla difesa del suolo. A fronte di un costo complessivo per la messa in sicurezza del nostro territorio stimato in circa 40 miliardi, tutti gli ultimi governi – da Berlusconi a Monti a Letta – hanno previsto per questo scopo risorse irrilevanti, fino all’obolo di 30 milioni messo a bilancio con l’ultima Legge di stabilità varata da Letta. Al di là degli abituali annunci (“Daremo 2 miliardi per mettere in sicurezza il territorio”) non sembra fare molto meglio nemmeno il governo Renzi: vedremo il testo della prossima Legge di stabilità, per ora si deve constatare che nel decreto sblocca-Italia le sole risorse aggiuntive riguardano una serie di grandi opere e specialmente di nuove autostrade…
Dall’altra parte, manca del tutto nei decisori politici la consapevolezza che per l’Italia porre limiti rigorosi alla ulteriore cementificazione del suolo è una priorità assoluta in termini di sicurezza pubblica. Invece non solo veniamo da due decenni nei quali soprattutto attraverso i condoni edilizi varati dai governi di destra (1994 e 2003) si è scelto dolosamente di alimentare l’economia del mattone illegale, ma ancora oggi in molti territori e per responsabilità ‘bipartisan’ di governi di ogni colore la deregulation edilizia e il consumo di suolo sono la regola. In questo, pochi dubbi, la Liguria e il centrosinistra ligure che da quasi un decennio governa la regione con Burlando sono da un bel pezzo maestri: basti dire che lo stesso Burlando che ora esibisce indignato la lettera inviata a Renzi qualche mese fa in cui segnalava l’urgenza di avviare il cantiere sul Bisagno bloccato dalla magistratura, quattro anni fa propose un incredibile ‘Piano-casa’ – poi in parte modificato – che avrebbe dato il via libera a un devastante ‘fai-da-te’ edilizio senza regole.
Insomma, sono queste ‘Larghe intese‘ contro il nostro territorio che hanno fatto di Genova una delle città più insicure d’Europa e dell’Italia un Paese sempre più fragile: un Paese dove per rincorrere i danni di alluvioni, frane, terremoti si spende molto di più di quanto servirebbe per finanziare un’opera urgente e straordinaria di prevenzione del rischio idrogeologico o sismico. La verità è che in pochi altri casi come in questo avremmo bisogno di un cambiamento di rotta politica radicale: altro che larghe intese, servirebbero decisioni che sconfessano i comportamenti tenuti per lunghi anni da una folta schiera di sindaci, presidenti di regione, ministri, alti burocrati. Servirebbe cioè una diversa, radicalmente diversa classe dirigente, che somigli almeno un po’ per responsabilità e senso civico ai ragazzi che a Genova stanno spalando fango da giorni.
Roberto Della Seta
Francesco Ferrante