Un filo lungo quasi quanto l’Italia, sottile ma tutt’altro che invisibile, collega l’Ilva di Taranto ai cantieri milanesi di Expo 2015. Un filo che vede la politica, cioè l’agire pubblico, letteralmente sequestrata da interessi privati e illegali: la corruzione, l’avvelenamento impunito di una intera città.
Naturalmente tra le due vicende passano grandi differenze. Ma esse hanno in comune una caratteristica che a noi sembra il vero marchio di fabbrica dell’attuale malapolitica e anche il suo principale segno distintivo rispetto alla stagione di Tangentopoli.
Prendiamo l’inchiesta della procura milanese che ha portato ieri a numerosi arresti eccellenti, tra cui spiccano i nomi di Primo Greganti e di Gianstefano Frigerio. Greganti e Frigerio, come si sa, furono già protagonisti delle inchieste di “Mani pulite”: uno come collettore delle tangenti destinate all’allora Partito comunista, l’altro da segretario lombardo della Democrazia Cristiana (poi sarà parlamentare con Forza Italia) come concussore e corrotto in diversi filoni delle indagini (entrambi furono condannati in via definitiva).
Ma il loro ruolo in questo nuovo scandalo sembra diverso, e diverso sembra il contesto: non più un sistema generalizzato di corruzione con terminali autonomi in ognuno dei principali partiti, piuttosto un’unica “cupola” di faccendieri, intermediari, manager pubblici infedeli che prende soldi per sé e magari per la politica.
Ciò che colpisce, di questo attuale scenario, è per l’appunto l’unicità e la trasversalità della “cupola”. In Tangentopoli la corruzione accomunava quasi tutti i partiti ma non ne cancellava le “tipicità” politiche, sociali, culturali.
Qui davvero pare di vedere all’opera un “pensiero unico” della corruzione come versione degenerata e illegale delle larghe intese. Del resto, che Expo 2015 rischi di passare alla storia per “nutrire i corrotti” anziché per il tema lodevolissimo – “nutrire il pianeta” – che ne intitola il programma, è noto da tempo. Sotto la regia di autorevoli proconsoli politici – il ministro Lupi, prima che cadesse in disgrazia Filippo Penati – e nel pieno controllo della lobby “sempreverde” di Comunione e Liberazione, la kermesse milanese dell’anno prossimo è stata presa a pretesto per progetti costosissimi, insensati e spesso devastanti per l’ambiente e il territorio: tre nuove autostrade lombarde (Pedemontana, BreBeMi, Tangenziale Est esterna di Milano) che solo Expo può salvare dal fallimento e che andranno ad occupare 1500 ettari di suolo ancora libero, una faraonica infrastruttura di vie d’acqua artificiali che deturperebbe irrimediabilmente parchi storici della cintura milanese.
“Pensiero unico” e malapolitica sono un tratto distintivo anche del dramma dell’Ilva di Taranto. In quella che la storia ci ha consegnato come la capitale della Magna Grecia e che quarant’anni di malaffare hanno trasformato nella capitale europea dei veleni industriali, politici locali e nazionali, di destra e di sinistra, hanno fatto a gara nell’ingraziarsi i Riva proprietari dell’Ilva (e nel farsene finanziare), infischiandosene delle conseguenze per la salute dei tarantini. Invece di lavorare con responsabilità e lungimiranza all’unica prospettiva realistica per salvare insieme salute e lavoro – una grande riconversione industriale sull’esempio di altre città siderurgiche da Bilbao a Pittsburgh -, la politica a Taranto si è messa da decenni al servizio e agli ordini dei padroni dell’Ilva: ripetiamo, senza apprezzabili distinzioni tra destra e sinistra, anche in questo caso in un clima di larghe, e dannosissime, intese.
Come uscire dal corto circuito simboleggiato dall’accoppiata Expo-Ilva? Serve una visione alternativa, di decisa opposizione alle larghe intese più o meno degenerate e collegata a un’idea più dignitosa di politica – Alex Langer la chiamava “ecologia della politica” – e ad un forte soprassalto di legalità. Difficile trovarla, questo va detto, nella principale forza di opposizione oggi in campo, i Cinquestelle guidati da un signore che per farsi pubblicità quasi strizza l’occhio a Genny ‘a Carogna.