Articolo di Roberto Della Seta e Francesco Ferrante su Il Fatto quotidiano –
Vent’anni fa moriva Antonio Cederna, uno dei grandi capostipiti del movimento ambientalista italiano. Per quasi mezzo secolo si era battuto contro il sacco urbanistico delle città, contro la cementificazione forsennata del territorio, per la difesa del paesaggio e del patrimonio culturale. L’ha fatto da grande giornalista scrivendo sul Mondo, su l’Espresso, sul Corriere della sera, su la Repubblica (più di 2 mila articoli di Cederna sono ora consultabili in una bellissima “story-map” che ripercorre tutte le tappe del suo “magistero civile”, all’indirizzo http://paesaggi.archiviocederna.it/); l’ha fatto come uno dei fondatori e dei principali animatori di Italia Nostra, la più antica associazione italiana per la tutela dell’ambiente naturale e culturale; l’ha fatto da politico, come consigliere comunale a Roma (radicale) e poi deputato (indipendente eletto nel Partito comunista); l’ha fatto ancora “inventando”, e guidando come primo presidente, il parco dell’Appia Antica, simbolo perfetto dell’intreccio tra natura e cultura che rende unico il paesaggio italiano.
In questi giorni di dolore per i morti e le distruzioni nei paesi dell’Appennino sconvolti dal terremoto, le battaglie di una vita condotte da Antonio Cederna sono attuali più che mai. Di nuovo dopo l’Irpinia (1980), dopo l’Umbria (1997), dopo San Giuliano di Puglia (2002), dopo L’Aquila (2009), dopo l’Emilia (2012), l’Italia “scopre” di essere, al tempo stesso, il Paese più sismico d’Europa e quello dove si è fatto di meno per limitare l’impatto distruttivo dei terremoti: oltre due terzi delle costruzioni non sono antisismiche, edifici pubblici compresi come dimostrano le tragedie della casa dello studente dell’Aquila e della scuola elementare di San Giuliano i cui crolli “annunciati” provocarono decine di vittime (secondo un recente studio di Legambiente solo in una scuola italiana su quattro sono stati condotti controlli sulla stabilità antisismica). Mettere in sicurezza il territorio di fronte al rischio sismico, vulcanico, idrogeologico – questa una delle “lezioni” di Cederna – è la “grande opera” più urgente di tutte. Grande opera urgentissima ma sistematicamente dimenticata da quasi tutti i governi e dalla maggioranza degli amministratori locali. Mancano le risorse per realizzarla? Sciocchezze, ha denunciato tante volte numeri alla mano Cederna: per riparare ai danni prevedibili e prevenibili di alluvioni e terremoti, e poi per realizzare opere del tutto inutili come il Mose a Venezia o la Torino-Lione o l’autostrada “fantasma” Brebemi in Lombardia è stato speso infinitamente di più di quanto occorrerebbe per mettere al sicuro le case e le scuole degli italiani.
Qualcuno, ci pare l’”ambientalista pentito” Chicco Testa, ha detto che Antonio Cederna è stato uno degli ultimi interpreti di una concezione “premoderna” e sostanzialmente conservatrice della difesa dell’ambiente. A noi sembra invece che per tutta la sua vita Cederna abbia provato ossessivamente, talora disperatamente, a educare le classi dirigenti a una diversa e più moderna idea di progresso, capace di integrare nel proprio orizzonte il valore sociale e anche economico del paesaggio, della natura, dei beni culturali. Il valore, per dirla con una sola parola, della bellezza.
A oggi, bisogna riconoscerlo, tale “missione” di Cederna e dei suoi eredi non è stata compiuta: grazie al lavoro ammirevole delle associazioni ambientaliste si sono ottenute singole vittorie, ma le classi dirigenti italiane restano in questo campo le più arretrate d’Europa, tuttora abbarbicate a una visione dello sviluppo novecentesca che per stupidità mista alla difesa irriducibile dell’interesse di pochi preferisce le trivelle petrolifere alle energie pulite, la deregulation urbanistica alla tutela del territorio. Perciò di un “indignato” come Cederna, impietoso nell’additare i difetti nazionali ma innamoratissimo dell’Italia, davvero si sente la mancanza.