Politica

Della Seta: necessario nazionalizzare l’Ilva

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Articolo di Mimmo Mazza su “La Gazzetta del Mezzogiorno” – Propone la nazionalizzazione dell’Ilva per assicurarne la bonifica e scongiurarne l’altrimenti certa chiusura; chiede al governo di farla finita con la decretazione d’urgenza per lo stabilimento siderurgico di Taranto; attacca duramente il Pd, e in particolare l’ex segretario Pierluigi Bersani e l’ex parlamentare Ludovico Vico per i loro rapporti ambigui con la famiglia Riva.

Roberto Della Seta, senatore proprio del Partito democratico sino alle elezioni del febbraio scorso e già presidente nazionale di Legambiente, chiama la Gazzetta per replicare all’intervista a Ludovico Vico pubblicata nell’edizione di lunedì.

“Vico ha parlato dell’episodio che mi riguarda direttamente, ovvero del tono e dei termini da lui utilizzati parlando al telefono con Archinà, l’uomo della famiglia Riva. Trovo sconcertante – dice Della Seta – che Vico riduca a un problema di parole dal sen sfuggite, espressioni che al telefono sostiene possano giustificarsi. Ma il punto non sono le parole offensive contro di me, il punto è che dalle e da tanti altri fatti emerge un rapporto di totale dipendenza, non solo di Vico, ma di larga parte della politica, locale e non solo, con i proprietari dell’Ilva”.

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Bipolarismo, un fallimento durato vent’anni

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Articolo su Europa quotidiano.it

5 dicembre 1993, vent’anni fa. Nel ballottaggio della prima elezione diretta del sindaco di Roma, Francesco Rutelli batte Gianfranco Fini 53 a 47 per cento. Fu quello, più ancora della nascita di Forza Italia, il vero atto di fondazione del bipolarismo italiano: sinistra contro destra in un confronto politico ed elettorale incerto e aspro, senza possibilità di pareggi o di “inciuci”; confronto che per settimane appassionò e divise l’opinione pubblica ben al di là della vicenda amministrativa romana.

Peraltro, tra le elezioni romane del ’93 e l’avvento del berlusconismo corse un filo solidissimo: l’esordio formale di Forza Italia è del gennaio 1994, ma la “discesa in campo” di Berlusconi cominciò due mesi prima quando l’allora presidente Fininvest, durante l’inaugurazione di un ipermercato a Casalecchio di Reno, dichiarò che i “moderati” nelle elezioni romane non avrebbero potuto scegliere che Fini.

Il voto romano cadde nel pieno del terremoto di Tangentopoli, che stava mettendo fine a storie politiche centenarie, e anche per questo ebbe come protagonisti due inediti outsider: Fini, segretario di un partito – il Movimento sociale italiano – di matrice neo-fascista che per quarant’anni era stato considerato quasi da tutti come un “paria” politico; e Rutelli, leader dei Verdi con un recente passato di Radicale: un “extraterrestre” rispetto alla storia della sinistra italiana.

Una prima osservazione obbligata, vent’anni dopo quel 5 dicembre, riguarda proprio l’itinerario personale dei due sfidanti di allora. Fini, che archiviata non senza strappi coraggiosi l’eredità neo-fascista e poi divincolatosi dall’alleanza con Berlusconi ha tentato senza successo di dare vita in Italia a una “destra repubblicana” di stampo europeo, libera dall’attuale ipoteca populista e plebiscitaria. Rutelli, che dopo aver “cofondato” il Partito democratico, l’ha abbandonato (ed è uscito anche lui di scena) accusando la sua “creatura” di una deriva da “vetero-sinistra” che ne tradiva del tutto l’ambizione originaria. Read More…

Sindaco Marino, per favore resti un marziano!

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Articolo di Roberto Della Seta e Francesco Ferrante su Huffington Post

Come “Un marziano a Roma” del racconto di Ennio Flaiano – il “signor Kunt” che atterrato col suo disco volante dentro Villa Borghese diventa subito una celebrità e viene ricevuto con ogni onore dai potenti – anche Ignazio Marino è un marziano: diventato sindaco a giugno scorso quasi doppiando nel ballottaggio elettorale il suo fallimentare predecessore Alemanno (64 a 36), è primo cittadino di Roma da cinque mesi ma per ora continua a muoversi da extraterrestre.

Marino non è un “indigeno”, forse pure per questo ignora i riti, i riflessi pavloviani, le abitudini (quasi tutte cattive) della politica capitolina: letteralmente li ignora, nel senso che prima non li conosceva e ora fa come se non ci fossero.

Un primo rito ignorato o almeno contestato dal sindaco, vero stigma dell’agire pubblico non solo romano ma decisamente nazionale, è il modello relazionale come criterio di scelta delle persone cui affidare ruoli di responsabilità amministrativa. La “rivoluzione del curriculum” annunciata e in qualche caso già praticata da Marino, l’idea – per l’Italia davvero marziana – di nominare “per merito”, negano decenni di cooptazioni su base relazionale: ti scelgo per un incarico importante non perché sei bravo – magari sei pure bravo ma non c’entra… -, ti nomino per ricambiare un tuo favore (tu mi hai appoggiato, io ora mi sdebito) o perché sei mio amico o amico di qualche mio amico. Per carità, non sarà una rivoluzione semplice e probabilmente non potrà essere completa: ma iniziarla è già un terremoto.

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