Politica

Da ebreo, sono contro il reato di negazionismo

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Articolo su Huffington Post –

È giusto ed è utile introdurre una specifica sanzione penale per chi nega la Shoah? La questione, di cui si discute da anni, ritorna di attualità ora che il Senato ha approvato quasi all’unanimità (tra i pochissimi astenuti la senatrice a vita Elena Cattaneo) un disegno di legge che intervenendo su una legge del 1975 – la cosiddetta legge Realenata per contrastare i fenomeni di terrorismo – dispone un aumento di pena di tre anni di carcere per i casi nei quali l’istigazione e l’incitamento a commettere atti di discriminazione razziale, reato già presente nel codice penale, si fondano “in tutto o in parte sulla negazione della Shoah ovvero dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra”.

Il tema, ripeto, non è nuovo. In Italia se ne parlò per la prima volta nel 2007 quando l’allora ministro della Giustizia Mastella propose di introdurre il reato di negazionismo per punire con il carcere chiunque neghi pubblicamente l’esistenza storica e le dimensioni storicamente accertate della Shoah. L’idea di Mastella suscitò molte adesioni ma anche critiche radicali, e comunque rimase lettera morta. Stefano Rodotà scrisse che la norma proposta era “una di quelle misure che si rivelano al tempo stesso inefficaci e pericolose, perché poco o nulla valgono contro il fenomeno che vorrebbero debellare, e tuttavia producono effetti collaterali pesantemente negativi”. Alcuni dei più autorevoli storici italiani – da Carlo Ginzburg a Giovanni De Luna, da Sergio Luzzatto a Bruno Bongiovanni – promossero un appello pubblico in cui sostenevano che “ogni verità imposta dall’autorità statale non può che minare la fiducia nel libero confronto di posizioni e nella libera ricerca storiografica e intellettuale”. Punti di vista analoghi espressero nell’occasione intellettuali europei come Paul Ginsborg e Thimoty Garton Ash: “La negazione dell’Olocausto – scrisse Garton Ash – va combattuta nelle scuole, nelle università, sui nostri media, non nelle stazioni di polizia e in tribunale”.

Il testo appena approvato dal Senato è frutto in realtà di un compromesso: non si sanziona, come voleva Mastella e come prevedeva un disegno di legge presentato nella scorsa legislatura, il negazionismo quale reato a sé, ma lo si qualifica come aggravante di reati già esistenti. Il punto però non cambia e io trovo che le argomentazioni portate a suo tempo contro il reato di negazionismo da Rodotà, da Ginzburg, da Luzzatto, da Garton Ash restino totalmente valide. Lo Stato non può e non deve intervenire in tema di libertà del pensiero, della parola, della ricerca storica; non può e non deve nemmeno di fronte ad affermazioni miserabili e aberranti come la negazione o la minimizzazione di un fatto – lo sterminio pianificato e sistematico di milioni ebrei da parte del nazismo e dei suoi alleati – che solo persone in malafede o incapaci d’intendere possono mettere in discussione. Read More…

Da Scilipoti a Migliore: se continua a crescere l’esercito dei voltagabbana

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Articolo su Huffington Post – 

Davvero qualcuno crede che 184 parlamentari – quasi un quinto del totale – hanno cambiato casacca dalla loro elezione nel 2013 per la nobile ragione che hanno cambiato idea? Davvero c’è chi pensa che questa incredibile “transumanza” abbia a che fare con il “sacro” principio costituzionale che vuole deputati e senatori liberi nel loro mandato, cioè non costretti a seguire le indicazioni del proprio gruppo di appartenenza, e non sia invece la manifestazione parossistica di quella vocazione al trasformismo che segna da più di un secolo non soltanto la politica ma tutta la vita pubblica italiana?

No, di nobile e di “costituzionale” nel fenomeno c’è zero. E chi per giustificare le proprie giravolte si richiama all’articolo 67 della Costituzione – quello appunto che esclude ogni “vincolo di mandato” per gli eletti – o straparla oppure parla in malafede. Un conto infatti è che ogni deputato e ogni senatore siano totalmente liberi nell’esercizio delle loro funzioni, dunque abbiano il diritto di votare sempre e comunque “secondo coscienza”. Cosa diversa è accettare come un fatto fisiologico o addirittura edificante la scelta così diffusa di tradire il patto con gli elettori grazie ai quali si è divenuti parlamentari aderendo a gruppi, a partiti diversi e molto spesso lontanissimi da quelli con i quali si è stati eletti. Tanto più se come avviene in Italia da dieci anni, si è entrati in parlamento da “nominati” senza che gli elettori abbiano potuto scegliere oltre a una lista anche un proprio candidato preferito.

Questo andazzo non è fisiologia ma patologia – ripetiamo: una novità non di oggi ma che oggi sta assumendo dimensioni endemiche – e oltre a essere indecente in sé, misurato su criteri minimi di etica pubblica, soprattutto è dannoso perché fa crescere e aggravare quell’altro morbo tipicamente italiano del distacco ormai abissale tra i cittadini e la politica. Il “transfughismo” parlamentare fa aumentare la sfiducia dei “rappresentati” verso i “rappresentanti”, falsa il circuito rappresentativo politico-elettorale, altera i rapporti di forza stabiliti dagli elettori tra i diversi partiti e più in generale tra maggioranza e opposizione. Ogni giorno decine di nostri politici dichiarano fuoco e fiamme contro l’antipolitica, rivendicando la dignità del loro ruolo. Read More…

Viva Tsipras per dire addio alla sinistra novecentesca

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Articolo su Huffington Post – 

Si può pensarla in tanti modi su Alexis Tsipras e sulla sua vittoria, da tutti ritenuta probabile, nelle elezioni in Grecia. Si può credere o solo sperare che risolleverà il proprio Paese dal baratro e spingerà l’Europa a cambiare radicalmente risposte alla crisi economica, o si può temere che le sue ricette radicali e anche un po’ visionarie falliscano alla prova dei fatti.Un fatto però è innegabile. Se Tispras vince in Grecia questa sarebbe la prima volta che in un Paese europeo va al governo un’altra sinistra, una sinistra che non è figlia né parente di quella novecentesca, socialista o post-comunista che sia.

Non era mai successo, mai. Potrebbe succedere in Grecia dove i socialisti del Pasok sono ridotti quasi a zero, i comunisti raccolgono un consenso residuale e dove Syriza ha dato corpo e voce a un’idea di cambiamento fondata su parole, su concetti, su valori inediti.

La sinistra di Syiriza parla più di cittadinanza che di lavoro, più di società che di economia. Se ne infischia del mantra ormai ridicolo della crescita, che invece continua ad ossessionare destra e sinistre novecentesche, e mette al centro del suo progetto, anche del suo progetto economico, una lotta durissima alla povertà. A Tsipras, ancora, piace l’Europa – l’ha ripetuto fino alla noia -, e invece detesta le larghe intese europee tra popolari e socialisti. Insomma sfugge alle etichette – l’antieuropeista, il comunista, il demagogo – che i suoi avversari fanno di tutto per affibbiargli. Read More…

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