Cultura

25 aprile: se l’Anpi si fa complice dei deliri anti-ebraici

Articolo su Huffington Post – 

Furono circa 1000 gli ebrei italiani nella Resistenza: un numero molto alto, sia in rapporto alle dimensioni delle nostre comunità ebraiche sia per il rischio speciale che essi correvano in caso di cattura da parte dei nazifascisti. Molti hanno nomi noti: Eugenio Curiel, Vittorio Foa, Primo Levi, Enzo ed Emilio Sereni, Elio Toaff, Umberto Terracini, Leo Valiani. La loro scelta non fu un caso isolato in Europa: basti pensare alla Brigata Ebraica al comando del generale ebreo canadese Benjamin che operò anche in Italia, composta di 5 mila volontari ebrei provenienti da ogni parte del mondo e inquadrata nell’esercito britannico.

Per questo, oltre che naturalmente per il significato simbolico della festa del 25 aprile – ricordare e celebrare la liberazione dell’Italia da nazisti e fascisti, cioè da coloro eseguirono (i primi) e attivamente sostennero (i secondi) lo sterminio pianificato di 6 milioni di ebrei -, sarebbe una ferita grave l’assenza della stella di Davide dalle manifestazioni per il 70° anniversario della Liberazione.

Oggi questa assenza è probabile. Qualche giorno fa alla Casa della Memoria a Roma era in programma, promossa dall’Anpi, una riunione per preparare la manifestazione del 70° nella capitale. Come ha raccontato Eugenio Iafrate, vicepresidente dell’Aned – l’Assocazione degli ex-deportati -, a quel tavolo si sono presentate alcune associazioni filo-palestinesi sostenendo con toni minacciosi che i simboli ebraici e in particolare le bandiere della Brigata Ebraica devono restare fuori dalle celebrazioni del 25 aprile. L’Anpi sul punto non ha preso una posizione chiara, da qui la scelta dell’Aned di non partecipare, seguita a ruota da dichiarazioni ancora più polemiche del presidente della comunità ebraica romana Riccardo Pacifici: “E’ Shabbat – ha detto Pacifici – e non saremo presenti, ma non ci saremo anche perché le organizzazioni pro-Palestina pretendono che non ci sia quel giorno il simbolo della brigata ebraica che liberò l’Italia con alleati e partigiani. I palestinesi, che durante la guerra erano alleati dei nazisti, sulla rete scrivono che se ci saremo ci picchieranno”. Read More…

IL NOSTRO APPELLO – E’ finito il tempo delle mele (marce): si apra la stagione delle opere utili, legali e sostenibili

MEGAFONO

L’inchiesta di Firenze sulla corruzione nel settore delle grandi opere pubbliche, che ha portato all’arresto tra gli altri di Ercole Incalza e alle dimissioni del Ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, rendono a tutti evidente ciò che gli ecologisti e le forze impegnate sul terreno della legalità da tempo denunciano: troppo spesso in Italia la decisione di realizzare questa o quella grande infrastruttura risponde alla convenienza privata di pochissimi e non all’interesse generale.

Così, per vincere la sfida delle “opere utili” non sono bastate razionali analisi su costi e benefici, discussioni aperte e democratiche su cosa sia davvero necessario per realizzare trasporti e infrastrutture efficienti e per garantire investimenti pubblici oculati: non sono bastate perché la commistione fra politici irresponsabili, funzionari pubblici inamovibili e spesso conniventi con imprenditori senza scrupoli, troppo scarse garanzie sull’imparzialità delle procedure, hanno impedito processi decisionali trasparenti e scelte ponderate nell’interesse collettivo, e creato condizioni quanto mai favorevoli al dilagare della corruzione.

Mai come oggi appare chiaro che la corruzione dilagante è un furto di bene comune, di diritti e di speranze, di opportunità e di lavoro: un furto che non ci possiamo e dobbiamo più permettere.

Per spazzare via le pratiche rivelate dall’inchiesta di Firenze occorre da una parte cambiare alla radice regole e priorità delle scelte in materia di opere pubbliche, dall’altra riconsiderare, nell’auspicabile quadro di un Piano dei trasporti finalmente coordinato e sistematico e che preveda una Valutazione Ambientale Strategica per ogni grande infrastruttura, scelte su opere – dal tunnel della Valsusa, al “terzo valico Milano-Genova, ai progetti di nuove autostrade (Lombardia e Veneto, Orte-Mestre, Maremma) – che a fronte di un costo per la collettività esorbitante, sollevano dubbi diffusi e rilevanti quanto alla loro utilità pubblica e compatibilità ambientale.

Sul tema generale della lotta alla corruzione servono norme più rigorose sulla confisca dei beni ai corrotti; sui “reati civetta” come il falso in bilancio, l’autoriciclaggio, l’evasione fiscale; sul conflitto d’interessi. Read More…

Netanyahu mi ricorda Salvini: cavalca il peggio del suo popolo ma ne tradisce l’anima

netanyahu

 

Articolo  su Huffington Post –

Tra i tanti pensieri che mi ha fatto venire in mente l’inattesa vittoria di Bibi Netanyahu nelle elezioni israeliane – rabbia, sorpresa, preoccupazione per il futuro di una nazione che amo molto -, uno riguarda l’Italia e ha la forma di un parallelo tra Netanyahu e Matteo Salvini. L’accostamento, lo capisco, è azzardato, soprattutto per le differenze vistosissime tra i due personaggi – Bibi dominatore incontrastato della politica israeliana da un decennio, Matteo che sebbene in ascesa raccoglie per ora un consenso largamente minoritario – e tra i due loro Paesi: Israele si trova immersa in una spirale tragica di guerre e di sangue che dura da mezzo secolo, l’Italia è alle prese con problemi seri e anche dolorosi ma fortunatamente assai meno drammatici.

Dov’è allora secondo me l’analogia tra il premier israeliano e il leader leghista? Entrambi, mi pare, sono bravissimi a cavalcare il peggio dei sentimenti, della mentalità dei loro popoli, ma entrambi, dei loro popoli, tradiscono l’anima.

Netanyahu per esempio si propone come difensore intransigente della tradizione da cui è nato lo Stato di Israele, ma in realtà non ha niente a che spartire con l’idea sionista di Theodor Herzl, di Ben Gurion, di Golda Meir, di Yitzhak Rabin; che era, certo, anche un’idea nazionalista, il sogno poi realizzato di costruire uno Stato sovrano che fosse “patria” per tutti gli ebrei, ma conteneva una profondissima radice solidale, umanistica. I padri sionisti con rare eccezioni (vi è stato anche un sionismo di estrema destra) erano socialisti, e anche nelle fasi di scontro irriducibile con gli arabi hanno sempre tenuta socchiusa una finestra verso la pace; Netanyahu invece, nelle sue politiche economiche e sociali come in politica estera, è la negazione di quella utopia sociale e solidarista. Read More…

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