Post di Roberto Della Seta e Francesco Ferrante su Huffington Post
– Una tragedia, una bella figura, un problema generale. Sono i tre volti del caso-Concordia, tutti e tre ben visibili e tutti e tre da tenere a mente.
Il secondo aspetto è quello oggi più attuale: fra una manciata di ore comincerà davanti all’isola del Giglio, sotto il controllo della Protezione Civile, il “parbuckling” del relitto della Concordia. Si cercherà cioè di riportare in posizione verticale le oltre 100 mila tonnellate della Costa Concordia, passaggio preliminare e decisivo per il trasferimento della nave verso il porto di “smaltimento”.
Si tratta, come ha detto il capo della Protezione Civile Franco Gabrielli, di un’operazione di enorme complessità tecnica e mai tentata prima. Non c’è dunque che da incrociare le dita, osservando come ancora una volta si dimostri che la Protezione Civile italiana, quando si occupa non di G8 o di mondiali di ciclismo ma dei suoi compiti istituzionali, è un fiore all’occhiello del nostro Paese.
L’attesa per il “parbuckling”, i complimenti a Gabrielli, naturalmente non possono e non devono cancellare il ricordo di quanto accadde il 12 gennaio 2012: 30 persone morirono in un incredibile naufragio avvenuto col mare quasi piatto e a poche decine di metri dalla costa del Giglio. Morirono per il comportamento vigliacco e irresponsabile di un capitano senza onore, ma quella tragedia nasce anche da più lontano: da regole e consuetudini più o meno scritte della navigazione commerciale che troppo spesso privilegiano l’interesse privato di armatori e grandi flotte rispetto alla sicurezza di chi naviga e dell’ambiente.
Questo vale, per esempio, per le centinaia di petroliere e di cargo vecchi di decenni e privi di adeguati sistemi di sicurezza che in assenza di controlli efficaci continuano a solcare il Mediterraneo malgrado siano, per le normative europee, fuorilegge. E questo vale per le grandi navi da crociera che nella laguna di Venezia arrivano a sfiorare la cupola di San Marco.
Ecco il terzo volto del caso Concordia, che stabilisce un legame assai concreto tra quanto succede da quasi due anni davanti al Giglio e quanto accade più o meno tutti i giorni a Venezia. Nemmeno a questo è servita la catastrofe della Costa Concordia: a far decidere, come vuole il buonsenso e come chiedono in tanti, che una delle città più preziose e più delicate del mondo sia tenuta al riparo dall’assalto quotidiano – inquinante e pericoloso – di immensi “grattacieli del mare”, alti più del doppio del Palazzo Ducale.
Questa scelta è impedita dalla resistenza di una lobby influente – guidata dal presidente dell’Autorità portuale Paolo Costa – che evidentemente antepone le pretese delle compagnie crocieristiche alla difesa dell’interesse generale di Venezia e dei veneziani: resistenza, così pare, persino più dura da sconfiggere di quella opposta dalle 114 mila tonnellate semisommerse della Concordia.