Articolo su Huffington Post
C’è una verità che vede convergere, in Italia e in Europa, tutte le analisi e tutti i giudizi sulla crisi economica: l’aspetto più drammatico del tunnel recessivo imboccato a inizio 2008 riguarda il lavoro, e in particolare la mancanza di lavoro per i giovani.
Da qui anche le decisioni dell’ultimo vertice europeo, centrate sull’obiettivo di destinare alcuni miliardi di euro per un piano europeo rivolto ai cosiddetti “neet” (“not in education, employment or training”): la massa crescente di giovani che non studiano, non lavorano, non si formano. Un piano in continuità con il progetto del governo italiano, preparato dal ministro Giovannini, che stanzia fondi per le assunzioni di giovani indicando priorità “geografiche” (precedenza al sud) e per “tipologia di soggetti” (svantaggiati, con familiari a carico).
Purtroppo, sia l’iniziativa europea che quella italiana denunciano uno stesso limite: la mancanza di visione, di scelte capaci di indirizzare gli investimenti, di impegnare le limitate risorse a disposizione nelle direzioni più convenienti e strategiche.
Ancora una volta, così pare, prevale l’illusione che qualche sgravio fiscale “a pioggia” (sempre utile, per carità, in un Paese come il nostro segnato da una pressione tributaria elevatissima) o qualche ennesima “acrobazia” sulle forme contrattuali bastino a rispondere al dramma della disoccupazione in genere e di quella giovanile in particolare.
Ciò che servirebbe è altro, è un’idea di futuro su cui costruire politiche economiche e industriali di respiro, utili certo ad aprire oggi sbocchi occupazionali per i giovani chi non trovano lavoro e nemmeno più lo cercano ma capaci, anche, di disegnare una prospettiva credibile per l’Europa di domani.
Questa idea non va inventata: c’è già, abbondantemente presente in decine di documenti ufficiali dell’Unione europea. E’ l’idea di una società “low carbon”, è l’idea di una “green economy” intesa non come settore di nicchia ma come l’unico terreno realistico su cui l’Europa – in un mondo e in un’economia globale sempre più multipolari – potrà giocare anche in futuro da “player” protagonista.
La traduzione italiana di questo indirizzo è anch’essa ben chiara a chi voglia vedere: passa per la scelta di valorizzare quei “talenti” – la creatività, la bellezza, la cultura, il paesaggio, l’impresa sociale – di cui disponiamo più largamente di tanti altri e che rappresentano la sola vera e buona carta che abbiamo da giocare per uscire presto e bene dalla crisi e fermare il nostro declino. Come applicare tale ricetta alle politiche per il lavoro dei giovani?
Una proposta concreta e convincente viene da Ilaria Catastini, imprenditrice romana con la quale abbiamo promosso il nuovo movimento politico “Green Italia”; per Catastini, sarebbe bene che le risorse disponibili non vengano disperse in mille rivoli ma siano concentrate nei settori vicini alla “green economy” ambiente, eco-innovazione, made-in-Italy di qualità, economia della cultura, terzo settore, start-up e incubatori d’impresa sempre legati all’economia verde.
Insomma, se si vuole davvero incidere nel dramma sociale rappresentato da quel 40% di giovani italiani che non studiano e non lavorano, la via da battere non sono i sussidi “a perdere”. Le imprese non assumono perché costa un po’ meno, assumono se e quando vedono una domanda in crescita e prospettive di sviluppo per il proprio business. Così è in tempi normali, così è a maggior ragione in tempi come questi di crisi acuta e prolungata.