Come da qualche anno, anche questo 25 aprile mette in scena a Roma il muro contro muro tra l’Anpi cittadina e i vertici della più grande comunità ebraica d’Italia. Ruth Dureghello, presidente degli ebrei romani, accusa l’Anpi di tollerare e anzi incoraggiare la partecipazione al corteo che ricorda la Liberazione di organizzazioni palestinesi e filopalestinesi estremiste, cioè di quegli stessi gruppi che da tempo utilizzano il “pretesto” del 25 aprile per manifestare contro Israele; per questo ha annunciato che gli ebrei di Roma ricorderanno per conto loro l’anniversario, con un presidio in via Balbo dov’era la sede della Brigata Ebraica che combatté pure in Italia contro i nazifascisti.
E’ serio ed è sacrosanto che la comunità ebraica romana pretenda di essere considerata “padrona di casa” a pieno titolo nelle celebrazioni del 25 aprile, e che non accetti che queste si trasformino in manifestazioni antisraeliane in cui vengono insultati il nome di Israele, la stella di Davide e ciò che rappresentano di prezioso, quasi di sacro, per la gran parte degli ebrei di tutto il mondo. I comportamenti dei governi israeliani possono essere – per me e per tanti ebrei come me spesso sono – detestabili; ma la storia non si può e non si deve rovesciare, e la storia della nostra Resistenza dice che furono più di mille gli ebrei italiani attivamente impegnati nella guerra contro i nazisti e i fascisti: un numero alto, sia in rapporto alle dimensioni delle comunità ebraiche in Italia sia per il rischio speciale che essi correvano in caso di cattura da parte dei nazifascisti. Molti partigiani ebrei hanno nomi noti: Eugenio Curiel, Vittorio Foa, Eugenio Colorni, Primo Levi, Enzo ed Emilio Sereni, Elio Toaff, Umberto Terracini, Leo Valiani. La loro scelta non fu un caso isolato in Europa: basti pensare alla Brigata Ebraica al comando del generale ebreo canadese Benjamin che operò anche in Italia, composta di 5 mila volontari ebrei provenienti da ogni parte del mondo e inquadrata nell’esercito britannico. Per questo, oltre che naturalmente per il significato simbolico della festa del 25 aprile – ricordare e celebrare la liberazione dell’Italia da nazisti e fascisti, cioè da coloro eseguirono (i primi) e attivamente sostennero (i secondi) lo sterminio pianificato di 6 milioni di ebrei -, è una ferita grave l’assenza della stella di Davide dalle manifestazioni per l’anniversario della Liberazione.
D’altra parte, trovo grottesche anche alcune affermazioni fatte recentemente da Ruth Dureghello e dalla presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane Noemi Di Segni, per cui i palestinesi non avrebbero diritto di manifestare il 25 aprile in quanto discendenti del “gran muftì” di Gerusalemme che appoggiò attivamente Hitler. Io credo che alle celebrazioni del 25 aprile debbano essere i benvenuti tutti coloro che condividono i valori che esso simboleggia, e personalmente capisco pure che la festa della Liberazione sia l’occasione per esprimere una domanda generale di libertà e di diritti, che dall’evento celebrato risalgono fino ai drammi e ai problemi del presente. L’importante, ripeto, è contrastare con forza ogni rischio di snaturamento, di strumentalizzazione di una giornata il cui significato è chiaro: festeggiare la liberazione dell’Italia dai nazisti e dai fascisti e dunque onorare anche il ricordo di migliaia di ebrei – partigiani, volontari della Brigata Ebraica – che furono tra i liberatori e che spesso per liberare l’Italia diedero la vita.
Gomel non dà ricette per riconciliare tra loro le due anime divise degli ebrei di sinistra, e forse al momento non ce ne sono. In attesa di trovarne di efficaci, sarebbe già tanto riuscire a evitare questi tristi 25 aprile romani con gli ebrei costretti a scegliere tra festeggiare da soli e farsi sputare addosso da chi pensa così di difendere la causa palestinese.