“Con l’avvicinarsi del 2017 che segna il cinquantesimo anno dell’occupazione israeliana di territori palestinesi, Israele è ad un punto di svolta. La situazione attuale è disastrosa. Il protrarsi dell’occupazione opprime i palestinesi e alimenta un ciclo ininterrotto di spargimento di sangue. Corrompe le fondamenta morali e democratiche dello Stato di Israele e danneggia la sua posizione nella comunità delle nazioni. La nostra migliore speranza per il futuro – il tragitto più sicuro verso la sicurezza, la prosperità e la pace – risiede in una soluzione negoziata del conflitto israelo-palestinese che conduca alla creazione di uno Stato palestinese indipendente accanto e in rapporti di buon vicinato con lo Stato di Israele. Facciamo appello agli ebrei nel mondo intero perché si uniscano a noi israeliani in un’azione coordinata per porre fine all’occupazione e costruire un futuro nuovo per la salvezza dello Stato di Israele e delle generazioni future”. A parlare così, in un appello “agli ebrei del mondo” diffuso oggi, sono 500 intellettuali, politici, scienziati, attivisti per la pace ebrei israeliani: tra loro scrittori come David Grossman, Amos Oz e Ronit Matalon, artisti come Noa e Amos Gitai, intellettuali come Naomi Chazan e Daniel Bar-Tal, l’ex-leader laburista ed ex-generale Amram Mitzna, l’ex-deputata ed ex-vicesindaco di Tel Aviv Yael Dayan, il Premio Nobel Daniel Kahneman.
L’appello è promosso da “Siso”, campagna di ebrei israeliani e della diaspora per porre fine all’occupazione dei territori palestinesi (il testo dell’appello e l’elenco completo dei firmatari è consultabile e scaricabile collegandosi al sito di Siso).
Tra i primi a raccogliere l’appello anche JCall Italia, sezione italiana del network di ebrei europei che da anni reclama la fine dell’occupazione: “Come voi in Israele – scrive JCall Italia – anche noi riteniamo che sia giunto il tempo di adoperarci per porre fine ai quasi 50 anni di occupazione. (…) Lottiamo e facciamo appello ad altri nelle comunità ebraiche dei nostri paesi perché si uniscano a noi a questo fine per garantire, alle generazioni di ebrei e di altri cittadini dello Stato di Israele che verranno, un futuro di sicurezza, libertà, eguaglianza e pace così come proclamato nella Dichiarazione di indipendenza dello Stato di Israele nel 1948. È nostro dovere alzare la voce ed agire secondo coscienza e non essere meri spettatori”.
“Save Israel. Stop the occupation”: questo lo slogan della campagna “Siso” e questo, io credo, anche il senso più profondo e prezioso dell’appello “agli ebrei del mondo”. Alcuni, in Israele, hanno contestato “da sinistra” l’iniziativa di “Siso” e altre di contenuto analogo sostenendo che arrogherebbero ai soli ebrei israeliani una scelta – rinunciare all’occupazione dei territori palestinesi e consentire la nascita di uno Stato palestinese indipendente – che invece appartiene prima di tutto al popolo palestinese. Insomma, queste posizioni al di là e al di sotto delle loro buone intenzioni tradirebbero l’idea che la fine dell’occupazione debba e possa arrivare come “concessione” di Israele prima ancora che come presa d’atto del diritto non più violabile del popolo palestinese ad autodeterminarsi.
Io penso che tale supposta contraddizione sia invece il principale punto di forza e anche di originalità dell’appello promosso da “Siso”: perché esso presenta la fine dell’occupazione non soltanto come un atto dovuto per riconoscere i diritti dei palestinesi, ma come la condizione obbligata e non più derogabile per “salvare” la democrazia israeliana. Uno Stato come Israele che da quasi cinquant’anni occupa illegalmente territori non suoi, così negando elementari diritti di cittadinanza a milioni di persone, può ancora definirsi democratico? E la democrazia israeliana non rischia di venire del tutto snaturata e presto affossata dal progressivo consolidarsi di un confine non formalizzato ma evidentissimo, quasi un “apartheid” di fatto, tra cittadini israeliani di serie A, gli ebrei, e di serie B, gli arabi (oltre un quinto della popolazione), che sia pure indirettamente discende anch’esso dal perpetuarsi dell’occupazione?
Sono queste preoccupazioni angosciate e angosciose che ispirano l’appello di Grossman, Oz, Noa, Dayan, Bar-Tal, Mitzna. E non a caso essi si rivolgono “agli ebrei del mondo”: chiedendo al mondo ebraico della diaspora di sostenere con decisione e con responsabilità l’unica prospettiva – fine immediata dell’occupazione – che può ridare dignità morale e legittimità democratica, a oggi largamente smarrite, allo Stato di Israele.