Articolo di Roberto Della Seta e Francesco Ferrante su Huffington Post –
Il renzismo scricchiola, mostra più di una crepa, ma a sinistra di Renzi, cioè nello spazio politico lasciato abbondantemente scoperto da un Pd sempre più centrista, resta il vuoto assoluto. Questo è uno dei dati apparentemente più sorprendenti del primo turno delle elezioni amministrative. Per misurarlo basta una rapida analisi del voto nelle cinque città più importanti. A Roma, Giachetti non arriva al 25% e il Pd raccoglie poco più del 15%, il risultato più basso della sua storia e di quella dei partiti suoi “antenati”; Fassina, candidato di “Sinistra italiana”, è al 4,5%, due punti e 20 mila voti sotto il risultato ottenuto da Sel alle comunali romane del 2013 (6,25%). A Milano Sala subisce la rimonta di Parisi, dato in svantaggio in tutti i sondaggi, mentre il candidato della sinistra Basilio Rizzo prende il 3,5% e 15 mila voti (alle amministrative del 2011 Sel aveva raccolto 28 mila voti pari al 4,7%). A Torino il sindaco uscente Fassino è costretto al ballottaggio con la candidata Cinquestelle, ma va malissimo per il candidato di sinistra Airaudo: 3,7% e 14 mila voti, contro il 5,6% e i 22 mila voti ottenuti da Sel 5 anni fa. A Bologna risultato pessimo per il sindaco uscente Merola – meno del 40% e ballottaggio con la leghista Bergonzoni – ma Martelloni, che rappresentava la sinistra, resta 3 punti percentuali e 7 mila voti al di sotto di quanto raccolto da Sel alle comunali di cinque anni fa. Solo Napoli è in controtendenza: la lista di sinistra che in questo caso sosteneva De Magistris ha preso 18 mila voti e il 5,3%, mentre nel 2011, in coalizione col Pd, si fermò al 4% e a 16 mila voti.
Dunque queste elezioni, ancora prima di sapere come andranno i ballottaggi, dicono con chiarezza che in Italia il consenso per Renzi, per i candidati renziani, per le politiche renziane, per un Pd sempre più “partito della nazione”, sta perdendo colpi, ma dicono anche che a capitalizzare questa difficoltà evidente non è la sinistra tradizionale, che anzi sembra incamminata verso un rapido e definitivo declino.
Noi riteniamo che queste siano due buone notizie. È positivo che stia entrando in crisi l’idea renziana di un partitone centrista che governa nello spirito delle larghe intese, appoggiandosi su alleanze trasformiste e su una classe dirigente locale mediocre e talvolta opaca. Come leader di partito e come capo del governo, Renzi ha fondato il suo successo sulla capacità – indiscutibilmente brillante – di raccontarsi come “uomo del cambiamento”: ma il cambiamento nell’accezione renziana riguarda molto più il linguaggio, la comunicazione, che non il merito delle scelte di governo. Se si guarda alla sostanza politica, programmatica dell’agire di Renzi, il nuovismo dell’”imballaggio” lascia il posto a una forte impressione di conservatorismo, di navigazione a vista, talvolta di vero e proprio “gattopardismo”. Un esempio su tutti: la politica economica dell’attuale governo. Mentre annuncia ogni giorno riduzioni fiscali ed elargizioni a questa o quella categoria disagiata, Renzi sembra del tutto disinteressato (come peraltro i suoi predecessori) a indicare e costruire per l’Italia una direzione di sviluppo davvero innovativa che possa metterci al passo con i cambiamenti strutturali che stanno ridisegnando gli assetti e i rapporti di forza interni dell’economia mondiale. Così, non vi è traccia di politiche industriali che favoriscano i settori più promettenti, dalla chimica verde alle nuove energie all’edilizia legata alla rigenerazione urbana, e invece vi sono segni profondissimi di una radicale subalternità a interessi forti ma con sempre meno futuro, dall’Eni alle rendite finanziarie. Altro esempio l’atteggiamento verso il Ttip, il controverso trattato commerciale tra Europa e Stati Uniti: mentre Francia e Germania contestano l’odierna versione dell’accordo, che ridurrebbe sensibilmente garanzie e controlli ambientali e sanitari sulle merci in arrivo da oltre Atlantico, l’Italia guida il fronte dei Paesi europei favorevoli.
Come detto, questa deriva conservatrice e neo-centrista non trova alcun argine in quella sinistra che chiama se stessa “radicale”, che ripropone imperterrita le analisi sociali e gli schemi ideologici, morti e sepolti, della sinistra comunista e che ad ogni appuntamento elettorale sprofonda un po’ di più. Anche questa, crediamo, è una buona notizia. Difficile infatti stupirsi se chi cerca risposte di alternativa e di autentico cambiamento ai problemi sociali, economici, ambientali dell’Italia di oggi, o al momento del voto si rifugia nell’astensionismo o considera assai più credibili e interessanti i Cinquestelle, con tutte le loro contraddizioni e indeterminatezze, che non i Fassina e i Basilio Rizzo.
Come uscire da questo impasse? O il Pd e lo stesso Renzi cambiano rapidamente strada, provando a elaborare e a praticare una prospettiva direale riformismo, oppure succederà quello che sempre succede in fisica: dove si crea un vuoto, in questo caso l’assenza di un’offerta politica coerentemente e modernamente progressista, prima o poi arriva qualcuno o qualcosa a riempirlo.