Un errore puntare sull’astensione. Ascoltate Obama

referendumArticolo sull’Unità

Il Pd dunque “si astiene”. Di fronte al referendum del 17 aprile sulle trivellazioni petrolifere e metanifere in mare non si schiera né per il sì al quesito, con il quale si propone che le concessioni già rilasciate non siano prolungate oltre la loro scadenza, né per il no. Preferisce invitare all’astensione, per scoraggiare la partecipazione al voto ed evitare così che si raggiunga il quorum del 50% più uno di votanti necessario a rendere il risultato referendario legalmente vincolante. Non è esattamente la replica del celebre, e infausto per chi lo pronunciò, invito  agli italiani dell’allora capo del governo Bettino Craxi – era il 1991 – ad andarsene al mare invece di votare nel referendum sulla legge elettorale, ma poco ci manca.

E’ una decisione grave, desolante, prima di tutto nel metodo. E’ grave e desolante che il principale partito italiano, e un partito che porta nel nome l’aggettivo “democratico”, scelga di boicottare l’unica espressione disponibile in Italia di democrazia diretta. E’ una decisione grave ma anche annunciata: con questa scelta il Renzi segretario del Pd non ha fatto che adeguarsi al Renzi presidente del consiglio, che rifiutando la proposta lanciata da molti di accorpare il referendum alle elezioni amministrative (che avrebbe fatto risparmiare allo Stato decine di milioni) e anticipandone la data al 17 aprile si era mosso per lasciare meno tempo possibile a una corretta e libera informazione su questo voto e in tale modo favorire la “diserzione” delle urne.  

Ma l’errore del Pd è anche e squisitamente politico. Ben oltre il merito tecnico della norma di cui si chiede l’abrogazione, che comunque è tutt’altro che irrilevante visto che i pozzi aperti entro 12 miglia dalla costa sono i più sensibili come impatto ambientale, il referendum del 17 aprile è l’occasione per correggere gli indirizzi di politica energetica seguiti finora dal governo, che da una parte hanno frenato lo sviluppo delle energie rinnovabili – un settore che negli ultimi anni era cresciuto moltissimo, creando decine di migliaia di posti di lavoro – e dall’altra hanno puntato su varie misure volte ad agevolare la ricerca e l’estrazione di gas e petrolio. Entrambe le scelte sono insensate e anacronistiche, perché si pongono in controtendenza rispetto all’obiettivo di accompagnare anche da noi la “rivoluzione energetica” in atto nel mondo, dettata dall’urgenza di fermare i cambiamenti climatici e che rappresenta anche un volano formidabile sul piano tecnologico e occupazionale. In più, scavare nei nostri fondali marini, spesso a ridosso dei tratti di costa più pregiati, per estrarre un po’ di petrolio e gas, significa mettere a rischio l’economia turistica, con danni all’occupazione ben maggiori delle poche centinaia di posti di lavoro collegate all’attività delle piattaforme petrolifere.

Del resto, per capire che l’importanza del referendum del 17 aprile va al di là del contenuto della norma da abrogare basta ricordare che da sempre nei referendum abrogativi al merito tecnico si è aggiunto un più vasto valore politico: non avremmo fermato il nucleare nel 1987 se ci fossimo fermati a spaccare il capello in quattro sui quesiti che riguardavano royalties e impegni internazionali (questioni di per sé “marginali”).

Il referendum del 17 aprile, così prevedono tutti i sondaggi, vedrà una larghissima prevalenza dei sì. Anche se questo prevedibile plebiscito porterà la firma di un po’ meno della metà degli elettori, il messaggio al governo, la richiesta di un cambiamento deciso di rotta nelle politiche energetiche, resteranno inequivocabili. Ciò rende tanto più stridente la via del boicottaggio del voto imboccata dal Pd. Il 17 aprile si può mettere fine al paradosso di un governo a guida di centrosinistra che anziché favorire l’innovazione energetica basata sulle energie pulite, agisce invece come tutore degli interessi delle lobby petrolifere. Siamo sicuri che in tanti nel Pd la pensino come noi, ecologisti e non solo. Sarebbe bene che comincino a dirlo oltre che a pensarlo, come hanno fatto autorevolmente diversi presidenti di regione del Pd – citiamo per tutti Michele Emiliano – schieratisi a favore del referendum. Giorni fa il presidente americano Barack Obama ha dichiarato che il cambiamento climatico è una minaccia persino più temibile del terrorismo islamista, una minaccia “esistenziale” per la nostra sicurezza e il nostro benessere, e che per scongiurarla serve un mutamento profondo nel modo di produrre e consumare l’energia; sempre Obama ha deciso di bloccare nuove trivellazioni in Atlantico (dove peraltro ci sarebbe tanto più petrolio che nei mari italiani). È troppo pretendere che i nostri democratici prendano ispirazione, sul tema decisivo del futuro dell’energia, più dal leader democratico Obama che dall’industria del petrolio?

 

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ROBERTO DELLA SETA

FRANCESCO FERRANTE

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