Tra le pochissime certezze di questa fine 2015 all’insegna dell’emergenza smog, una si staglia su tutte: il Ministero dell’ambiente non serve a nulla. È stato creato negli anni ’80 per dare spazio e peso “di governo” alle politiche ambientali. Ha vissuto stagioni felici e altre totalmente da dimenticare. Oggi, e da almeno un decennio, è peggio che inutile: è dannoso, limita la possibilità di costruire per l’Italia un futuro prossimo e meno prossimo in cui l’ambiente diventi sinonimo di benessere, di vero sviluppo.
Le ragioni di questa evidente deriva sono varie. Certo ha contato la personalità non brillantissima di quasi tutti gli ultimi ministri: inutile fare nomi, la verità come ha scritto Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera è che da tempo quello dell’ambiente è considerato “un ministero di serie B. Un contentino da dare ai partiti minori” o a esponenti politici di seconda e terza fila generalmente del tutto digiuni della materia. Questa però è solo una delle ragioni, e non è nemmeno la principale. Soprattutto, il Ministero dell’ambiente sempre di più rappresenta un alibi, un diversivo rispetto a politiche generali che dell’ambiente semplicemente se ne infischiano.
Non che in Italia anche negli ultimi dieci o quindici anni non siano state fatte scelte politiche ambientalmente molto utili. Ma nessuna di queste – ripetiamo: nessuna – è arrivata per merito del ministro dell’ambiente pro-tempore. Alcune le ha decise in autonomia il Parlamento: così la recente legge sugli ecoreati o la sostituzione dei vecchi sacchetti di plastica con quelli nuovi biodegradabili. Altre – il no al nucleare, l’obbligo di gestione pubblica delle acque – le hanno imposte i cittadini a colpi di referendum. Altre ancora sono nate ai tempi dell’ultimo governo dell’Ulivo: è stato così sia per gli incentivi alle rinnovabili che hanno consentito all’Italia di mettersi all’avanguardia nel settore (primato oggi a rischio per le misure anti-rinnovabili varate dagli ultimi quattro governi: Berlusconi, Monti, Letta, Renzi), sia per l’ecobonus fiscale che ha permesso a milioni di famiglie di migliorare il rendimento energetico delle loro case con grande vantaggio per loro stesse e per la collettività.
Insomma, se il Ministero dell’ambiente non ci fosse, per l’ambiente non sarebbe un problema. Diciamo di più: oggi le politiche ambientali veramente incisive passano per le competenze di altri ministeri: sono le politiche per l’innovazione energetica e la “green economy”, disgraziatamente nelle mani di Federica Guidi che è quanto di più lontano da un’idea anche vagamente ecologica dello sviluppo. E sono le politiche per le infrastrutture e per le città. Qui si ritorna allo smog che complice un inverno senza pioggia né vento assedia da giorni le nostre città. In un efficace decalogo pubblicato sul Sole 24 Ore, Giorgio Santilli fa l’elenco delle misure necessarie “per città pulite”: piano nazionale per potenziare il trasporto pubblico locale e il trasporto su ferro delle merci, incentivi a tutte le forme di mobilità urbana alternativa dalle corsie preferenziali alla bicicletta, misure per estendere ai grandi condomini l’ecobonus sulle ristrutturazioni energetiche in edilizia, una vera riforma urbanistica che favorisca la rigenerazione urbana e scoraggi il consumo i suolo… Bene: nessuno di questi provvedimenti riguarda il Ministero dell’ambiente, mentre quasi tutti investono le competenze di un ministero che non c’è, che si occupi a tempo pieno delle città.
Che l’Italia, paese delle cento città, non abbia da oltre vent’anni un ministero delle città è un incredibile paradosso, figlio sia di una caricatura di federalismo che di quella radicale mancanza di visione dell’interesse generale segno distintivo delle nostre classi dirigenti. Renzi vuole comportarsi da quel “grande modernizzatore” che dice tutti i giorni di essere? Cancelli il ministero dell’ambiente e affidi a uno bravo, non uno preso a caso, un ministero delle città. L’ambiente sentitamente ringrazierebbe.
Roberto Della Seta
Francesco Ferrante