È colpa del viento”. Così Helenio Herrera, grande allenatore di calcio e grandissimo personaggio, spiegava davanti ai giornalisti, mescolando ironia e sfrontatezza, le (rare) sconfitte della sua Inter negli anni Sessanta. E così oggi, con meno ironia e con assai maggiore sfrontatezza, molti osservatori e moltissimi politici spiegano l’emergenza smog che tiene da giorni ben oltre i limiti di legge i livelli di inquinamento dell’aria nelle città italiane. “Da troppo tempo splende il sole – si dice – e questo fa crescere di continuo le concentrazioni di polveri sottili e altri inquinanti in atmosfera”.
Ora, che la meteorologia di questo fine 2016 probabilmente intrecciata ai cambiamenti climatici in atto – poca pioggia, poco vento, temperature quasi primaverili – aiuti lo smog, questo è sicuro. Ma le cause dell’aria avvelenata di Roma, Milano e di molte città italiane grandi e piccole sono altre, ben note da tempo e denunciate per anni dagli ambientalisti. Per riassumerle, è sufficiente ricordare qualche numero: a Roma per esempio circolano 670 automobili ogni 1000 abitanti, contro le 517 di Madrid, le 464 di Parigi o le 236 di Londra; o ancora: a Roma, Milano, Genova, Torino, Napoli e Palermo, tra il 50 e il 60% delle persone utilizzano per spostarsi l’auto o la moto, mentre a Berlino, Madrid, Parigi, Londra, Monaco, Varsavia, Budapest, Vienna, Copenaghen sono tra il 20 e il 40%.
La mobilità privata è la fonte principale dell’inquinamento urbano, e dunque i rimedi dovrebbero puntare prima di tutto a potenziare il trasporto pubblico così da scoraggiare l’uso dei mezzi di trasporto individuali. È avvenuto, sta avvenendo? Anche in questo caso è bene che a parlare siano i numeri. Le città italiane hanno una rete di metropolitane, sotterranee o di superficie, incomparabilmente più limitata delle grandi città europee: Milano può contare su circa 100 km di binari, Roma su 60 e Torino su 13, contro i 324 di Madrid e i 124 di Barcellona, i 219 di Parigi, i 192 di Colonia e i 146 di Berlino, i 460 di Londra, i 325 di Mosca e i 113 di San Pietroburgo.
Finora in Italia le politiche pubbliche, a livello sia nazionale che locale, hanno affrontato il problema dello smog a colpi di misure tampone, prima fra tutte le ormai celeberrime “targhe alterne”. Sperimentate per la prima volta negli anni ’70, per abbassare i consumi di benzina ai tempi della crisi energetica dovuta alla guerra del Kippur, da almeno trent’anni le targhe alterne sono da noi, e almeno in Europa quasi solo da noi, la risposta abituale dei comuni ai picchi di inquinamento. Risposta utile se fosse servita a prendere tempo mentre si avviavano interventi strutturali rivolti a rimuovere le cause vere dello smog, cioè prima di tutto a dotare le nostre città di sistemi efficienti e moderni di trasporto pubblico; metafora invece dell’immobilismo italiano se servono, come quasi sempre da noi sono servite, ad aspettare che, per l’appunto, arrivi il viento, per non pensarci più fino alla successiva emergenza.
Colpa, si diceva, delle amministrazioni locali, che con poche e virtuose eccezioni – come l’introduzione a Milano del ticket d’ingresso nel centro per le auto private o la pedonalizzazione dell’area de Fori Imperiali a Roma – hanno assistito pressoché inermi all’allargamento continuo del divario tra città italiane ed europee quanto ad inquinamento e organizzazione della mobilità. Ma colpa anche dei governi, di tutti i governi: basti dire che la Legge di stabilità appena approvata stanzia per il trasporto pubblico locale il 30% in meno dei soldi, già pochi, destinati a questa “posta” di bilancio nel 2009.
Queste le ragioni per le quali alle città italiane, anche in questi giorni, va la “maglia nera” per i livelli più alti d’inquinamento. Quanto alle terapie per curarle, sono quelle sintetizzate da Legambiente in un chiarissimo decalogo anti-smog: più trasporto pubblico e meno auto private, più controlli sulle emissioni delle auto circolanti, estendere i sistemi di sosta e circolazione private a pagamento che scoraggiano l’uso dell’auto, più ciclovie e aree pedonali, incentivi al car-sharing e al car-pooling. Prendersela col viento – il grande Helenio Herrera lo sapeva, probabilmente lo sanno anche i nostri sindaci e ministri – è soltanto un espediente per assolversi. In questo caso per assolversi dopo decenni in cui l’Italia non ha mai avuto uno straccio di politica per le città.
Roberto Della Seta
Francesco Ferrante