AGGIORNAMENTO:
Con sentenza definitiva della Corte di Cassazione dell’aprile 2019 Ignazio Marino è stato prosciolto da queste accuse perché “il fatto non sussiste”. Ne siamo contenti per Marino.
I nemici di Ignazio Marino, quelli che da quando fu eletto sindaco hanno cercato costantemente di affossarlo, sono quasi tutti molto peggio di lui, le vere ragioni per cui non hanno mai smesso di attaccarlo sono quasi sempre parecchio ignobili.
Ciò vale per l’opposizione politica a Marino, che però era fisiologico che cercasse in ogni modo di danneggiarlo (anche se fa un po’ ridere vedere i principali supporter della disastrosa, come azione amministrativa e come etica pubblica, stagione di Alemanno sollevare ora contro Marino indignate questioni morali); e ciò vale a maggior ragione per il suo “fronte interno”, per quella parte assai larga del Pd romano che lo ha sempre detestato perché non lo controllava, perché aveva perso potere e influenza dopo anni – compresi gli anni di Alemanno sindaco e di “mafia capitale” – in cui partecipava a tutte le scelte di governo e soprattutto di sottogoverno.
Marino, l’hanno detto e scritto in molti noi compresi, sembrava un sindaco-marziano, e questo poteva essere il suo pregio maggiore e un suo grande punto di forza anche in termini di consenso. Ma proprio come marziano Marino ha fallito, e per la sua “disfatta” non può prendersela con nessun altro che con se stesso.
Ha fallito per due ragioni principali. La prima, inutile girarci intorno, riguarda questa così mediocre vicenda dell’uso “ingiustificato” della carta di credito del Comune. Certo, lo sappiamo: c’è molto di peggio in termini di etica pubblica che far passare come “rappresentanza” delle cene private. C’è la corruzione, c’è “mafia capitale”… Ma in qualunque Paese civile, un politico scoperto a utilizzare in modo improprio, per fini privati, i soldi pubblici, pochi o tanti che siano, e a mentire per nascondere questo abuso, è un politico indifendibile ed è un politico finito.
Il secondo errore di Marino è stato di non fidarsi della città che amministrava. L’ormai ex-sindaco ha stravinto le elezioni e ha iniziato il suo mandato promettendo totale discontinuità e rottura rispetto al passato, e in più di un caso ha compiuto atti coerenti con queste intenzioni, mettendosi contro interessi assai potenti che da molto tempo orientavano a loro piacere le scelte amministrative. Ha chiuso la mega-discarica di Malagrotta e archiviato l’impero dei rifiuti di Cerroni; ha cercato di arginare lo strapotere del ventre molle clientelare e inefficiente delle aziende di servizi dall’Atac all’Ama; ha annullato le delibere del cemento di Alemanno che rischiavano di cancellare un bel pezzo di Agro Romano e colpito l’oligopolio di quel pugno di grandi costruttori abituati a controllare l’urbanistica romana; ha posto fine alla vergogna dei camion-bar che assediavano i Fori Imperiali e il Colosseo, gestiti tutti da un’unica potente lobby, e avviato la pedonalizzazione del cuore archeologico della città così realizzando il sogno che fu di Cederna e di grandi sindaci come Argan e Petroselli.
Ha fatto scelte importanti e positive, Marino, ma non ha fatto la più importante di tutte. Non ha cercato di costruire un rapporto di fiducia con i romani, che pure in maggioranza l’avevano votato proprio perché prometteva un cambiamento radicale. Invece che consegnarsi a Roma, alla fine ha preferito consegnarsi a improbabili alleanze interne al Pd, spesso legandosi a gruppi tutt’altro che “innocenti” rispetto ai grandi mali della capitale.
Marino non si è fidato della città, a cominciare da quel drammatico dicembre dell’anno scorso quando un minuto dopo l’esplosione della bomba giudiziaria di “mafia capitale” che investiva in pieno e in modo “bipartisan” la politica romana, avrebbe dovuto, come molti che gli erano amici gli consigliarono, dimettersi per affidare ai cittadini il giudizio sul suo operato e sulle scelte per il futuro.
Fu quello, tenendo da parte la “questione-scontrini” – che pure, va ripetuto, non può essere ridotta a dettaglio -, l’inizio della fine di Marino sindaco. Ora che la fine è arrivata, resta un enorme problema: scongiurare il pericolo che tornino a imperversare sulla capitale gli interessi, i gruppi, le persone principali responsabili del tantissimo che a Roma non funziona, che non la rende degna del ruolo di capitale europea e di simbolo della bellezza. Insomma impedire che una volta sgomberato il campo da un “marziano” indifendibile, si riprendano la scena i peggiori “terrestri”.
Roberto Della Seta
Francesco Ferrante