Davvero qualcuno crede che 184 parlamentari – quasi un quinto del totale – hanno cambiato casacca dalla loro elezione nel 2013 per la nobile ragione che hanno cambiato idea? Davvero c’è chi pensa che questa incredibile “transumanza” abbia a che fare con il “sacro” principio costituzionale che vuole deputati e senatori liberi nel loro mandato, cioè non costretti a seguire le indicazioni del proprio gruppo di appartenenza, e non sia invece la manifestazione parossistica di quella vocazione al trasformismo che segna da più di un secolo non soltanto la politica ma tutta la vita pubblica italiana?
No, di nobile e di “costituzionale” nel fenomeno c’è zero. E chi per giustificare le proprie giravolte si richiama all’articolo 67 della Costituzione – quello appunto che esclude ogni “vincolo di mandato” per gli eletti – o straparla oppure parla in malafede. Un conto infatti è che ogni deputato e ogni senatore siano totalmente liberi nell’esercizio delle loro funzioni, dunque abbiano il diritto di votare sempre e comunque “secondo coscienza”. Cosa diversa è accettare come un fatto fisiologico o addirittura edificante la scelta così diffusa di tradire il patto con gli elettori grazie ai quali si è divenuti parlamentari aderendo a gruppi, a partiti diversi e molto spesso lontanissimi da quelli con i quali si è stati eletti. Tanto più se come avviene in Italia da dieci anni, si è entrati in parlamento da “nominati” senza che gli elettori abbiano potuto scegliere oltre a una lista anche un proprio candidato preferito.
Questo andazzo non è fisiologia ma patologia – ripetiamo: una novità non di oggi ma che oggi sta assumendo dimensioni endemiche – e oltre a essere indecente in sé, misurato su criteri minimi di etica pubblica, soprattutto è dannoso perché fa crescere e aggravare quell’altro morbo tipicamente italiano del distacco ormai abissale tra i cittadini e la politica. Il “transfughismo” parlamentare fa aumentare la sfiducia dei “rappresentati” verso i “rappresentanti”, falsa il circuito rappresentativo politico-elettorale, altera i rapporti di forza stabiliti dagli elettori tra i diversi partiti e più in generale tra maggioranza e opposizione. Ogni giorno decine di nostri politici dichiarano fuoco e fiamme contro l’antipolitica, rivendicando la dignità del loro ruolo.
Giustissimo, ma dovrebbero aggiungere che la forma originaria e anche la più odiosa di antipolitica riguarda chi svolge funzioni elettive senza “disciplina” e senza “onore”, e che l’idea che sia normale per un deputato o un senatore traslocare in un partito o in uno schieramento che considerava avversario nel momento della sua elezione è antipolitica allo stato puro. Tra l’altro, anche sul piano tecnico soluzioni a questo malcostume non mancano. Quando eravamo parlamentari del Pd – parlamentari spesso “ribelli” ma che durante il mandato mai sono sognati di cambiare casacca – ne proponemmo una: naturalmente non mettere in discussione la “libertà di mandato” di ogni eletto del popolo, ma prevedere che chi si dimette da un gruppo o ne viene cacciato possa solo iscriversi al gruppo misto.
Infine un’ultima osservazione. Sarebbe bene che la politica non ecceda in “doppiopesismo” nel giudicare i cambi di casacca. Quando nel dicembre 2010 i deputati Calearo, Razzi, Scilipoti lasciarono i loro gruppi – Pd e Italia dei Valori – e votarono la fiducia al governo Berlusconi, il centrodestra li accolse come “responsabili” e il centrosinistra li bollò come traditori. Ora che a stracciare il patto con i propri elettori , salendo sul “carro” vincitore del Partito democratico e dell’attuale maggioranza, sono decine di parlamentari eletti con forze politiche attualmente all’opposizione – da Migliore che era capogruppo di Sel e ora è un “ultrà” renziano, alla truppa degli alfaniani che sostengono il governo a guida Pd, agli ex-grillini in rapido avvicinamento alla coalizione di governo -, le parti sono invertite: gli attuali voltagabbana sono eroici patrioti per il Pd e orrendi traditori per Forza Italia.
Questo repentino rovesciamento di giudizi è persino più stucchevole dello spettacolo offerto dall’odierno esercito di voltagabbana. E’ il trionfo della politica come bassa cucina, come palcoscenico per “azzeccagarbugli”. Chissà che prima o dopo non salti fuori mettiamo dal Pd qualcuno che come il bambino della favola sul “Re nudo” trovi il coraggio di dire quello che vede chiunque non abbia il paraocchi: chi tradisce il patto con i cittadini che l’hanno eletto – si chiami Razzi o si chiami Migliore – tutto è tranne che responsabile.
Roberto Della Seta
Francesco Ferrante